Terroni 2.0: la nuova generazione di emigranti (Il Foglio)

del 8 Febbraio 2012

Da Il Foglio – 8 febbraio 2012
Intitolare un libro ai “terroni” e poi scriverlo schivando quasi del tutto certi stereotipi sull’italiano medio è già di per sé un merito, specie dopo la sbornia di libelli “nordisti” o “sudisti” pubblicati per i 150 anni dell’Unità. Ma la parte migliore di questo pamphlet è nel “2.0”, ovvero nell’individuazione e nel tentato affresco di una categoria sociale finora ignorata, quella di migliaia di giovani meridionali che a partire dalla metà degli anni Novanta – ai tempi quindi della comunicazione on line ultra facile – hanno ricominciato ad andare al centro-nord o all’estero per studiare e lavorare.
Non è casuale, si spiega nel volume, che il flusso migratorio sia ripreso in quegli anni. Alla metà degli anni Settanta, infatti, il ricorso scriteriato alla politica industriale, l’uso smodato e la deriva assistenzialistica della spesa pubblica, e la crescente inefficienza del mercato del lavoro nazionale (con la prevalenza nel meridione di meccanismi “informali” per la ricerca di un impiego), indussero i cittadini a una minore mobilità. E fu un male, sostiene l’autore: “Lasciando che la gente seguisse il proprio istinto e si spostasse verso lidi più fertili dove il seme dell’iniziativa individuale potesse meglio germogliare, si sarebbe probabilmente sgravato il mezzogiorno dal peso sociale della sua massa di disoccupati e sottoccupati, incentivando questi ultimi a fare più affidamento su di sé e meno sull’intermediazione della politica e sul ricorso agli impieghi pubblici ‘di massa”‘. La Crisi politico-finanziaria del 1992-93, e gli anni di pur timido contenimento della spesa pubblica che ne sono seguiti, hanno avuto l’effetto opposto: dal 2000 al 2009, 583 mila italiani hanno lasciato il mezzogiorno per andare a nord, e questo al netto dei “rientri”; nel 2009, il 9 per cento dei laureati degli atenei del nord e il 21 per cento di quelli dell’Italia centrale provenivano dal sud; e sempre nel 2009, sono partiti dal mezzogiorno quasi 23 mila laureati.
Ridotta l’assuefazione da intervento pubblico, i meridionali avrebbero dunque ripreso a emigrare, anche perché “l’aspirazione al posto pubblico ha subito un appannamento pesante rispetto al passato, data la sua minore probabilità di realizzazione” . Il libro non è scritto nella forma di un saggio, ma piuttosto segue il ritmo di una chiacchierata tra una decina di “terroni 2.0”, persone in carne e ossa tra i 25 e i 35 anni che – attraverso il racconto della loro esperienza – veicolano almeno due messaggi fondamentali. Primo: il massiccio intervento pubblico nell’economia meridionale non è solo uno spreco di risorse, come dimostrano i risultati visti finora, ma è anche una droga per il sud, avendo decretato “l’uscita di scena del cittadino contribuente (che paga le tasse e per questo rivendica diritti) dalla dinamica politica ed elettorale”. L’assenza di un pedaggio sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria diventa così metafora dell’“’impossibilità di valutare il prezzo della spesa pubblica”. Secondo: dai colloqui tra l’autore (meridionale “espatriato”) e i suoi interlocutori (tutti meridionali “espatriati”) non vengono appelli a “non partire” o a “tornare” al sud: piuttosto emerge la consapevolezza di quanto sia oggi fondamentale lo sviluppo del capitale umano per rilanciare un’economia e una società. In questo senso le istituzioni possono aiutare, magari attuando una “rivoluzione copernicana: eliminiamo i sussidi e contestualmente eliminiamo la tassazione sui redditi d’impresa di tutte le aziende del sud. Un mezzogiorno no-tax per gli imprenditori”.
Ma un ruolo potranno averlo anche le “rimesse” immateriali di tanti “terroni 2.0“, dall’eresia del merito e della legalità al messaggio fiducioso e ottimista secondo cui ciascuno alla fine è artefice del proprio destino.

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