Disabilità e dati Censis. Per Antonio Guidi non è un problema di risorse ma di come vengono impiegate

del 19 Ottobre 2012

Una ricerca Censis/Fondazione Serono presentata ieri ha evidenziato come l’Italia sia agli ultimi posti per quel che concernono le politiche di inclusione sociale dei disabili.
Abbiamo chiesto un commento ad Antonio Guidi, ex ministro della famiglia, e autore di una coinvolgente autobiografia intitolata “Con gli occhi di un burattino di legno”, da poco in libreria.
ANTONIO GUIDI. La ricerca promossa dal Censis e dalla Fondazione Cesare Serono sulla situazione delle persone disabili oggi in Italia viene da me considerata solo parzialmente valida. Il dato inquietante che condivido è quello legato all’inserimento lavorativo: purtroppo in Italia se il tasso di disoccupazione, anche di più lungo periodo, è alto per le persone con disabilità è altissimo tanto da confliggere in parte con uno dei principi della costituzione: il primo articolo della costituzione che parla del diritto al lavoro.

Incide nel nostro paese, tranne qualche esperienza esemplare, il concetto assolutamente errato che la persona con disabilità inserita nel contesto lavorativo sia meno produttiva degli altri lavoratori e quindi sia un peso morto che necessiti di assistenza da parte di altri lavoratori. 

Purtroppo, oltre questo stigma, viene praticata troppo poco la formazione in situazione ovvero completare l’attività formativa scolastica all’interno della realtà lavorativa, per mediare con la realtà stessa del lavoro il periodo dell’ingresso che può essere complicato. Detto questo, parlare di una quasi sconfitta dell’integrazione scolastica nella scuola dell’obbligo solo facendo riferimento alla scarsità degli insegnanti di sostegno mi sembra privo di consistenza. È innegabile che con tutte le distorsioni che sono accadute negli anni questo processo di integrazione scolastica rappresenta ancora una delle più grandi e valide azioni di democrazia irrinunciabile del nostro paese. Criticare è giusto ma enfatizzarne i difetti può portare a trend regressivi che porterebbero innegabilmente alla prevalenza della cultura “era meglio quando era peggio” riproponendo con il pretesto di dare di più a chi ha più difficoltà classi potenziate o addirittura speciali che rappresenterebbero un terribile autogol alla nostra democrazia oltre che un danno enorme alle persone con disabilità. Ma il presupposto del Censis stesso è errato in quanto misura l’efficacia dell’integrazione con il numero degli insegnanti di sostegno. In realtà è un dato importante ma non essenziale. Non sempre infatti il teorema integrazione – insegnanti di sostegno funziona. Spesso il bambino con disabilità non ha bisogno di sostegno che anzi diventerebbe un ostacolo tra se e la classe, in troppi casi inoltre l’insegnante di sostegno è stato tramutato in assistente che tendenzialmente porta fuori dalla classe l’alunno. Nonostante il travisamento che troppo spesso si usa l’aiuto più reale e che è molto più presente di quanto si creda nel nostro Paese è la presenza delle equipe multidisciplinari che agevolano per un breve periodo l’ingresso e l’integrazione nella classe e una serrata discussione negli organismi collegiali del valore dell’integrazione nei singoli casi. Sono certo che queste realtà almeno fino ad un paio di anni fa erano diffuse in maniera accettabile nel nostro paese. Certo la gestione un po’ goffa della crisi sta pregiudicando queste buone prassi. Per ultimo lo stock economico. Il problema non è alla fonte. Il budget destinato alla disabilità è stato reso meno consistente per la cancellazione di fatto del fondo nazionale per i non autosufficienti ma ciò che resta intanto è più ampio di quanto descritto perché esiste una massa di danaro non direttamente legato alla disabilità che viene appostata a tutti i livelli, dallo stato al comune sotto al voce trasporti, sport, associazionismo ecc. A mio avviso quindi le cifre iniziali erano sufficienti, il problema è che al di là della corruzione che certamente ha drenato una quantità cospicua di risorse soprattutto a livello regionale e locale, è il meccanismo stesso del trasferimento dei fondi che non funziona più. Dall’origine al destinatario sono talmente tanti i meccanismi di trasmissione che al destinatario direttamente o attraverso i servizi arriva non più del 40% di quanto  si apposta all’origine quindi assai poco. In altri paesi non solo si spende di più ma si spende meglio e con una maggiore rapidità di trasmissione tra Stato e beneficiario. Con questo meccanismo perverso si spende non poco per dare sempre meno. Di questa errato meccanismo ne fanno le spese senz’altro le famiglie con una persona disabile all’interno e non c’è dubbio che è ancora la famiglia che si fa carico della maggior parte del lavoro e dell’impegno per l’assistenza e l’integrazione della persona con disabilità con la gracilità dei mezzi che riceve ogni taglio per minimo che sia sbilancia una situazione già difficile ma a risentirne di più sono soprattutto le persone con disabilità stesse. Quelle più gravi che vedono mettere addirittura in pericolo di vita se stessi e le persone con disabilità più autonome che vedono interrompersi la nuova e più importante realtà e conquista dei nostri tempi: la vita indipendente. 

 

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