Alla ricerca di una dimensione del negativo. Il dovere di narrare la sofferenza secondo Guido Giarelli (Lettera43)

di Stefano Gallone, del 23 Luglio 2018

Guido Giarelli

Sofferenza e condizione umana

Per una sociologia del negativo nella società globalizzata

Vivere senza sofferenza è il desiderio di qualunque tipologia di essere umano esistente sulla faccia della Terra. Ma quante sfaccettature e concrete linee di pensiero implica una simile speranza di ipotesi? E, soprattutto, sarà mai possibile ricondurre la sofferenza nel corpo di un discorso scientifico che prenda origine dalla consapevolezza della comune condizione umana generata, volenti o nolenti, dalla moderna globalizzazione? Quando parliamo di sofferenza, a quale tipo di dolore ci riferiamo? E che cosa è avvertibile r ìealmente come dolore, oggi? Da dove deriva e quali sono le sue caratteristiche preponderanti? Queste e moltissime altre sono le ardue domande alle quali arriva a dare una risposta ben precisa Sofferenza e condizione umana. Per una sociologia del negativo nella società globalizzata (edizioni Rubbettino), il sontuoso trattato socio-antropologico firmato Guido Giarelli.

Docente universitario di prestigio sia in Italia che all’estero (Nairobi, New York, Boston, Oviedo, Londra), Giarelli affida alla corposa e complessa delucidazione teorica del suo lungo saggio il nucleo di un discorso che abbraccia secoli di crescita umana per arrivare a definire, secondo determinati e ben specifici criteri, l’effettiva condizione attuale dell’individuo tra i meandri di uno stadio evolutivo che ha come pilastro portante la difficile condizione interiore dell’uomo occidentale moderno.

Non è semplice cercare di semplificare una trattazione accademica così densa di riferimenti filosofici e culturali. Tuttavia, proprio l’ampio raggio d’azione sviluppato dal concetto di “sofferenza” fornisce un adeguato punto di riferimento per tentare di individuare il fondamentale fulcro del discorso, arrivando, dunque, a comprendere l’importanza che un simile trattato può avere sull’idea che ognuno di noi ha di se stesso nel corso di una vita quotidiana sempre meno in grado di comprendere e dare spazio alle intuizioni veramente importanti tra rapporti interpersonali relegati a mero sfondo esistenziale.

Giarelli parte da un assunto basilare: ad oggi, viviamo in un periodo di grande sofferenza. La distinzione con le atrocità relative alle enormi tragedie del secolo scorso arriva immediatamente a specificare come l’orientamento del discorso sia rivolto prevalentemente vero un malessere sociale interiore diffuso e molto fitto, sostanzialmente annidato in situazioni di ricezione percettiva quali, ad esempio, un programma televisivo, un film, un telegiornale o un qualunque altro impulso comunque proveniente dall’imperterrita macchina da guerra ideologica rappresentata dai mass media. A fare da parallelo reale, ecco arrivare tutta la schiera di complesse problematiche sociali: quaranta-cinquantenni letteralmente espulsi dal mercato del lavoro, nuove generazioni incapaci o impossibilitate a trovarne, disoccupazione a iosa, perdita di speranze esistenziali, sfruttamento produttivo generatore di inquietudine individuale e conseguentemente collettiva, immigrazione e relativo caos a livello politico e sociale, anziani sempre più abbandonati a se stessi da sistemi previdenziali inefficienti. Tutte situazioni principalmente umane che non si è più in grado di spiegare con chiarezza per cercarne la soluzione. Ne consegue una corposa perdita di considerazione nei confronti della tematica, a tal punto da considerarla oscena, indicibile, impresentabile, inaccettabile, letteralmente “pornografica”. Il risultato è una società estremamente salutista alla ricerca della bellezza e del benessere ad ogni costo, dove fallire in qualcosa – agli occhi della massa – vuol dire essere esclusi da un corpo alla ricerca della perfezione che vede in un sorriso a denti smaglianti la rigorosa condizione emotiva da mantenere per forza di cose, pena il non essere “in”, il diventare “out”.

Narrare la sofferenza per ascoltarne la voce, riconoscerne il volto e riuscire a dialogarci: ecco il punto della questione. In Sofferenza e condizione umana, sostanzialmente, Giarelli vuole restituire all’individuo una via di uscita dall’afasia della contemporaneità occidentale percorrendo la strada maestra aperta da eminenze come Marx, Durkheim e Weber e ravvivata da nomi del calibro di Hans Jonas, Irving K.Zola e Margaret Archer per arrivare a delineare i contorni di concetti come alienazione, anomia, razionalizzazione, limite e vulnerabilità. Emerge, dunque, una “dimensione del negativo” importantissima da analizzare qualora si desideri sondare il concetto di “male” a livello specificamente etico e morale.

Vivere senza sofferenza, stando a quanto afferma Giarelli, è stata la grande illusione della società occidentale contemporanea. Paga dazio anche l’inarrestabile progresso tecnologico in merito all’impatto sulle consapevolezze umane di tempo, natura e spazio. L’obiettivo è quello di ritrovare i propri limiti per farne il perno saldo di una rinnovata autoregolamentazione esistenziale.

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