“L’impegno” su Civiltà Cattolica (La Civiltà Cattolica)

del 1 Agosto 2013

L’impegno della Chiesa nella società italiana
da La Civiltà Cattolica del 20 luglio 2013
 

La presenza della Chiesa nella società italiana si esprime in molti modi: anzitutto con gli aspetti più spirituali e sacramentali, inerenti alla sua missione di annuncio e di evangelizzazione, animazione ecc., ma da sempre essa ha manifestato la sua «incarnazione» nella realtà anche nel concreto aiuto alle persone in difficoltà attraverso un’azione caritativa, nella quale la fede si fa avvenimento e servizio. Questo aspetto, che comprende un’organizzazione e un rilevante impegno economico, è soggetto a molte polemiche, o perché si ignora quanto la Chiesa fa con le sue istituzioni, o perché si pensa che essa usi male il denaro di cui dispone, o perché si ritiene che questo denaro sia sottratto a mani più capaci, in particolare allo Stato. Il contributo offerto dalla Chiesa non si riduce però ai termini economici, in quanto tende alla formazione integrale dell’uomo, cominciando dall’aspetto religioso. Ci sembra tuttavia utile esporre sommariamente il contributo anche economico che la Chiesa cattolica offre alla società italiana, non per avanzare rivendicazioni, ma per mostrare l’aspetto di «concretezza» della sua azione. Siamo ben consapevoli anche di quanto la Chiesa italiana riceve dallo Stato, sotto molte forme, cominciando dall’8 per mille, né intendiamo suggerire che lo Stato si assuma le spese di quanto la Chiesa fa per conto suo. Non ci sembra neppure corretto pensare che lo Stato debba farsi carico di tutto: il principio di sussidiarietà vale evidentemente anche in questo campo; ogni organismo intermedio deve fare quanto è in grado di compiere per il bene comune. Per mostrare quanto fa la Chiesa, ci serviamo di una pubblicazione, apparsa recentemente ad opera di un giornalista svizzero1, che ha raccolto abbondanti dati in materia. In base a quanto pubblicato da un parte della stampa, «la Chiesa sembrerebbe essere (salvo eccezioni) una sorta di corpo estraneo alle dinamiche civili, trasformatasi (se non lo è stata da sempre) in una forza abbarbicata al potere a ogni costo, con privilegi connessi» (p. 7). La ricerca, ovviamente limitata e parziale, dell’Autore intende dimostrare che la Chiesa è invece profondamente immersa nella società, nel suo sforzo di stare accanto, quotidianamente, a ogni persona, specialmente a quelle più deboli, operando nel solco delle parole del Signore. Più che un’opera apologetica, Rusconi si è proposto di ripristinare un certo equilibrio nell’informazione. I dati raccolti sono incompleti, perché per molte realtà, in particolare quelle socio-assistenziali, le strutture esistenti sono innumerevoli e difficilmente quantificabili. L’Autore ha anche cercato di quantificare le somme erogate, mostrando lo sforzo concreto della Chiesa nei vari ambiti della società. Per ognuna delle categorie esaminate, oltre alle cifre complessive, il libro presenta anche una o due realtà concrete, per dimostrare come funzionano e che cosa fanno. Noi ci limiteremo alla visione complessiva del quadro offerto.
 

Gli oratori

In Italia esistono circa 6.000 oratori, la metà dei quali è in Lombardia. Anch’essi hanno conosciuto un progressivo svuotamento, che ha accompagnato la crisi delle istituzioni e degli agenti educativi del passato. Ma negli anni più recenti si è assistito a una loro vigorosa ripresa, testimoniata pure da alcune manifestazioni di massa (anche con la presenza di Benedetto XVI). A «inventarli» furono le Congregazioni religiose, dal Cinquecento, con san Filippo Neri, in poi. Oggi sono molte le associazioni ecclesiali che accompagnano la vita oratoriana, come il «Forum oratori italiani», che li coordina a livello nazionale, poi l’«Associazione nazionale San Paolo Italia» (1.800 società, 270.000 associati), le «Polisportive giovanili salesiane» (1.200 società, 100.000 tesserati). Dopo la bufera fascista che aveva paralizzato ogni attività del genere, nel 1944 rinasce con un nuovo nome il Centro Sportivo Italiano (Csi), come emanazione dell’Azione Cattolica e che conserva tuttora un legame con la Conferenza Episcopale Italiana (Cei). Nel 1971 esso ingloba anche l’omologa sezione femminile. Oggi conta 980.000 tesserati, 100.000 tra allenatori, animatori, arbitri, dirigenti, e più di 13.500 società sportive. Nel 2012 è iniziata una campagna per costruire un campo di calcio anche nella metà delle 25.000 parrocchie italiane che non lo hanno. Anche la Lega calcio collabora al progetto. In un’epoca nella quale i ragazzi passano i pomeriggi di vacanza al computer o con la playstation, lo sport  potrebbe dare un contributo decisivo per recuperare la «fisicità» e per gli altri aspetti educativi ben noti da tempo. Volendo tentare una valutazione del contributo fornito dagli oratori, si può fare un calcolo approssimativo, tenendo presente che il 95% del personale del Csi, cioè 95.000 persone, è volontario e che, ad esempio, il Coni (ma anche l’Istat) valuta il lavoro volontario in media 11 euro l’ora, così che i 15.000.000 di ore di impegno gratuito dovrebbero avere un controvalore economico di almeno 180.000.000 di euro. Questo per il solo Csi. Calcolando le altre associazioni oratoriane e deducendo il contributo delle regioni, pari a circa 19 milioni di euro, si può ritenere che la Chiesa dia alla comunità nazionale attraverso l’attività degli oratori circa 210.000.000 di euro. Le attività caritative parrocchiali e le mense per i poveri Le parrocchie ovviamente costituiscono le strutture di base della Chiesa anche per quanto riguarda l’esercizio della carità. Nelle grandi città, la prima difficoltà per il parroco e per i suoi collaboratori è individuare il bisognoso, dato l’allentamento delle relazioni interpersonali rispetto al contesto dei piccoli Comuni, dove ci si conosce molto di più. Nonostante i tempi di crisi, anzi spesso spinta proprio da questa, la carità praticata dalle parrocchie si è moltiplicata. Sono 3.875 i servizi sociali promossi dalle parrocchie in Italia, secondo i dati (relativi al 2010) del IV censimento delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali condotto dall’Ufficio nazionale per la pastorale della sanità della Cei e dalla Consulta nazionale degli organismi socio-assistenziali. Di questi, 3.633 sono gestiti direttamente dalle parrocchie. In particolare, le parrocchie gestiscono 138 mense, il cui personale è costituito per il 97% da volontari. Solo una su sei è convenzionata con un ente pubblico. Nelle mense parrocchiali sono distribuiti circa 4.000 pasti al giorno. Le parrocchie gestiscono poi 26 strutture sanitarie propriamente dette e 291 strutture socio-sanitarie e residenziali, sempre a beneficio delle categorie più deboli. Il denaro necessario proviene da quanto i fedeli offrono durante le messe domenicali e in altre occasioni. In totale l’Autore valuta in circa 260 milioni di euro all’anno (circa 10.000 per parrocchia) la somma con la quale le parrocchie integrano l’impegno dello Stato in ambito sociale. Nella millenaria lotta contro la povertà, la Chiesa agisce sia con le forme tradizionali (ostelli e mense) sia con forme nuove (come il microcredito).

Le mense per i poveri hanno una lunghissima tradizione. Secondo il «Rapporto 2011 della Caritas/Fondazione Zancan», in Italia sono attive 449 mense per i poveri, per un quarto promosse dalle parrocchie, per un secondo quarto dalla Caritas e per un terzo da Ordini e Congregazioni religiose. Le restanti sono promosse da realtà diverse, come diocesi o associazioni di fedeli. Delle 320 strutture che si occupano soprattutto di mense, soltanto 56 (il 17,5%) sono convenzionate con un ente pubblico. Questo significa che tutte le altre si sostengono solamente con le risorse degli enti che le promuovono. Non per nulla, delle 21.832 persone coinvolte nella gestione, 20.467 (cioè il 93,7%) sono volontari laici, a cui si devono aggiungere 720 volontari religiosi. Gli operatori retribuiti sono soltanto 532 (il 2,4%).

Nel 2009 le mense facenti capo alla Chiesa hanno erogato circa 9 milioni di pasti, più di 16.500 al giorno. Secondo la Caritas, il valore monetario di ogni pasto è di 4,5 euro. Escludendo perciò le mense convenzionate, si può calcolare che la Chiesa in questo settore offra un contributo non inferiore a 27 milioni di euro ogni anno. Sempre nel settore alimentare, destinato ad andare incontro al povero «nel momento più significativo della giornata, quello socialmente più importante: il pasto» (p. 33), si può segnalare il Banco Alimentare, destinato a raccogliere eccedenze alimentari, o quanto i clienti dei supermercati decidono di offrire a questo scopo durante le Giornate delle collette alimentari, per poi distribuirlo alle oltre 8.600 strutture caritative sparse in tutta Italia e che con esse assistono circa 1.700.000 bisognosi, che vivono al di sotto di uno standard di vita accettabile. I volontari per le collette, inizialmente circa 15.000, sono passati nel 2012 a oltre 130.000 (tra i quali molti ciellini, membri delle San Vincenzo e gli alpini). Le tonnellate di cibo raccolte sono passate da 1.700 a più di 9.000, per un valore economico di circa 30 milioni di euro. Questa è un’iniziativa diffusa anche all’estero. Ma tutto il settore recupera ogni anno circa 60.000 tonnellate di eccedenze alimentari, che si aggiungono a quelle raccolte durante le Giornate. Se la Rete Banco Alimentare dona ogni anno circa 200 milioni di euro in cibo, da integrare con altri 200 forniti dalle strutture caritative; ad essi vanno aggiunti altri 400 milioni di euro come controvalore del cibo distribuito dai circa 6.500 enti non associati alla Rete Banco Alimentare, due terzi dei quali sono gestiti dal mondo cattolico. Si ha così un contributo totale calcolato di circa 650 milioni per alleviare la povertà assoluta, almeno in campo alimentare.

I fondi di solidarietà

Per contrastare la povertà in Italia, sono nate iniziative destinate a erogare piccoli prestiti legati alle esigenze minime delle famiglie o delle imprese; creare Fondi di solidarietà a fondo perduto a beneficio di famiglie impoverite per la crisi; aprire empori/botteghe solidali; e infine creare progetti di consulenze per orientare in tema di casa e di lavoro. Il progetto più noto è il «Fondo famiglia e lavoro della diocesi di Milano», lanciato dal card. Dionigi Tettamanzi nella notte di Natale 2008 e rilanciato il 29 novembre 2012 dal card. Angelo Scola, suo successore. Ma molte diocesi hanno promosso iniziative analoghe: nel 2011 erano impegnate per forme di microcredito socio-assistenziale 137 diocesi, mentre 61 si sono dedicate anche a forme di microcredito per le imprese. Per queste due forme prevale leggermente il Nord sul Sud, mentre per i Fondi diocesani di solidarietà prevale l’Italia meridionale. 181 diocesi hanno parrocchie che effettuano erogazioni a fondo perduto. Complessivamente si valuta intorno ai 50.000.000 di euro lo sforzo finanziario annuale delle diocesi italiane per iniziative di microcredito destinate a lottare contro la povertà. Al microcredito si potrebbe aggiungere il «Prestito della speranza», cioè un fondo di garanzia per famiglie in difficoltà, promosso dalla Cei con il concorso operativo dell’Associazione bancaria italiana. La complessità delle procedure e l’entità modesta del prestito non consentono ancora di dare una valutazione adeguata della pur interessante iniziativa.

Ma la Chiesa italiana ha saputo mobilitarsi con una certa efficacia e con risorse non indifferenti anche in momenti di emergenza particolare, come nel caso dei terremoti dell’Aquila (aprile 2009) e dell’Emilia (maggio 2012).

La scuola, la formazione professionale e la sanità

Non intendiamo qui affrontare l’annoso e complesso problema della scuola paritaria cattolica (e non cattolica), ma soltanto indicare il contributo che essa dà alla società italiana, anche se purtroppo non può destinare il proprio servizio ai più poveri, come vorrebbe. Soltanto in Italia, infatti, fra tutti i Paesi europei, lo Stato non finanzia le scuole gestite da altri, con il risultato che le famiglie pagano le tasse allo Stato (che servono a finanziare la scuola) e poi pagano nuovamente le rette alle scuole paritarie. Viene in ogni caso penalizzata la libertà di scelta dei genitori circa la scuola che preferiscono per i loro figli. Secondo il Rapporto sulla scuola cattolica della Cei, in Italia ci sono circa 9.000 scuole cattoliche: 6.610 dell’infanzia, 1.130 scuole primarie, 591 secondarie inferiori, 621 secondarie superiori. Sono circa due terzi delle scuole paritarie. Gli allievi sono circa 730.000 e i dipendenti 90.000. Ma nel solo settembre 2011 circa 200 scuole non hanno riaperto i battenti all’inizio dell’anno scolastico. Dal 2002 le sovvenzioni dello Stato alle scuole paritarie (un milione di allievi) sono state in media circa 500 milioni all’anno (483 nel 2012, versati solo in parte). Per le scuole statali (8 milioni di allievi) lo Stato spende circa 50 miliardi. La spesa è certamente doverosa, vista l’importanza della scuola, ma vorremmo sottolineare soltanto che ogni allievo della scuola statale costa allo Stato molto più di un coetaneo iscritto in una scuola paritaria. Il sistema di calcolo usato dall’Autore della ricerca dovrebbe in ogni caso essere meglio verificato. Due terzi delle paritarie sono cattoliche. Si tratta inoltre di un contributo al pluralismo necessario anche nella scuola in una società democratica. Quanto alla formazione professionale in Italia, la sua storia è legata a quella delle Congregazioni religiose, cominciando dai somaschi, seguiti da pavoniani, canossiane, stimmatini, giuseppini del Murialdo e poi i salesiani ecc. Le loro opere sono riunite nella Confederazione nazionale formazione aggiornamento professionale, per un totale di 36 enti con 285 centri di formazione professionale, 10.000 operatori e circa 115.000 allievi.

Quanto alla sanità, la Chiesa, non solo cattolica, si è sempre occupata dei malati durante la sua storia, e nei secoli passati sono nate molte Congregazioni attive in tale settore. L’Associazione religiosa istituti socio-sanitari (Aris) raggruppa oggi 253 (227 associate e 26 federate) istituzioni sanitarie (pochi anni fa erano più di 300, ma la crisi ha obbligato molte istituzioni a chiudere o a cedere l’attività). Il tutto per un totale di 25.000 posti-letto, di cui 14.000 nell’area ospedaliera. Esistono gli ospedali classificati (20) e i presìdi ospedalieri (5), che sono incardinati nel Servizio sanitario nazionale, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (10), le case di cura (51), i centri di riabilitazione (123), le residenze sanitarie assistenziali, gli Hospice e alcuni ex-istituti psichiatrici. Lo Stato equipara i primi agli ospedali pubblici per quanto riguarda le prestazioni erogate, ma le tariffe relative sono ferme al 1997, mentre dovrebbero venire aggiornate ogni due anni. Inoltre, in caso di deficit di bilancio, lo Stato ripiana quello dell’ospedale pubblico, ma quello dell’ospedale classificato e delle altre strutture religiose deve essere colmato dalla proprietà, come pure tutte le ristrutturazioni necessarie. Le difficoltà del settore sono note, talvolta purtroppo aggravate dalla cattiva gestione degli istituti da parte della proprietà (di solito una Congregazione religiosa). L’Autore afferma che la sanità cattolica costa allo Stato, mediamente, il 40% in meno di quella pubblica, aggiungendo che «la stima è generalmente condivisa anche presso i grandi istituti di indagine statistica» (p. 63), ma non ne indica la fonte. Molte prestazioni infatti non sono rimborsate dallo Stato. In totale, deducendo le somme rimborsate alla sanità cattolica attraverso le convenzioni, si può calcolare un contributo cattolico alla società italiana nel settore della sanità intorno a un miliardo e 200 milioni di euro.

L’aiuto socio-assistenziale

Un vastissimo settore di impegno per il mondo cattolico è da sempre quello dell’assistenza, residenziale o meno, per persone disagiate, anziani, malati non autosufficienti, minori, famiglie, tossico-dipendenti, detenuti, immigrati e senza fissa dimora.

Sino al 1890 era solo la Chiesa a occuparsene, ma naturalmente non tocca ad essa risolvere tutti i problemi. Valgono però il principio di sussidiarietà e l’impegno nella carità come fondamento dell’ordine sociale. Con la legge Crispi di quell’anno tutte le opere assistenziali vennero rese pubbliche. Nel 1988 tale legge fu dichiarata illegittima e successivamente fu abrogata. Oggi il settore assistenziale delle opere collegate con la Chiesa comprende 13.298 servizi di matrice cattolica, costituiti anzitutto dall’assistenza per anziani e disabili (1.422 servizi residenziali e 1.137 non residenziali) e poi per minori e famiglie (1.088 servizi residenziali e 1.877 non residenziali). Vi lavorano 310.000 persone, di cui circa 15.000 religiosi, volontari per oltre l’80%. Anche tra i laici, oltre la metà degli operatori è costituita da volontari. Sono coordinati dall’Uneba (Unione nazionale fra gli enti di beneficienza e di assistenza), di ispirazione cattolica e che raccoglie circa 3.000 enti, quasi tutti non profit. Nell’assistenza, l’ente titolare di tutte le funzioni connesse è il Comune, con il quale (e con le Asl) entrano in rapporto gli enti accreditati o convenzionati. Questo fatto, data la grande varietà di politiche e criteri attuati, rende molto difficile le stime a livello nazionale. Sono i Comuni che decidono chi aiutare e in quale misura, e molti sono in arretrato da anni con i pagamenti. Un capitolo a parte meriterebbero le esperienze di impegno sociale dei religiosi e delle religiose. Sui 14.214 servizi rilevati dal censimento delle opere sanitarie e sociali, quelli promossi da istituti di vita consacrata e società di vita apostolica sono 1.837, cioè il 13% del totale. La cifra può sembrare bassa, ma i servizi che fanno capo ai religiosi sono in genere più strutturati e articolati (specialmente nel campo sanitario e sociale a carattere residenziale) e non semplici mense o centri di ascolto. Più volte abbiamo parlato delle comunità di recupero per drogati, molte delle quali fondate da sacerdoti o da loro gestite. Se ne contano un migliaio, due terzi delle quali di ispirazione cattolica, che assistono circa 40.000 tossicodipendenti sui 170.000 censiti dai Serd (Servizi per le dipendenze). Ogni ospite costa mediamente 90 euro al giorno, di cui lo Stato ne versa (con molto ritardo) circa 50. La Chiesa contribuisce quindi con circa 2.000.000 di euro al giorno, per un totale di circa 800 milioni di euro all’anno. In ogni caso, non tocca allo Stato il compito di attribuirsi tutte le funzioni sociali, altrimenti si rischia di distruggere ogni capacità organizzativa della società. Pure delle istituzioni destinate a lottare contro la piaga dell’usura abbiamo parlato più volte in passato. La prima nacque a Napoli nel 1991, per opera dei due fondatori, il gesuita p. Massimo Rastrelli e mons. Alberto D’Urso, e molte altre sono seguite. Oggi esiste una «Consulta nazionale delle fondazioni antiusura», che coordina 28 Fondazioni presenti in molte regioni con centinaia di centri di ascolto. Non ne esistono soltanto in Umbria, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Queste Fondazioni assumono le informazioni necessarie, non erogano direttamente prestiti, ma forniscono alle banche convenzionate le garanzie finanziarie necessarie per poter accedere al credito (generalmente per importi non superiori ai 30.000 euro). In un anno, sono mediamente 8.000 le famiglie che si rivolgono alle Fondazioni, e nel periodo 1998-2010 sono stati messi in moto presso gli istituti di credito finanziamenti per circa 270 milioni di euro, aiutando 18.000 famiglie. Lo Stato ha contribuito con 95 milioni di euro. I volontari hanno realizzato oltre 60.000 transazioni con i creditori, estinguendo debiti per 350 milioni di euro. I casi di «sofferenza», in cui cioè prevale la difficoltà di restituzione, sono in genere il 10% del totale. Oggi, con la crisi economica (e, purtroppo, con il diffondersi del gioco d’azzardo), si calcola che almeno 900.000 italiani (e 20.000 immigrati) siano caduti in mano agli usurai. Oltre alle Fondazioni coordinate dalla Consulta, ci sono altre istituzioni (oltre 100) che si occupano dell’attività antiusura. La Consulta riceve dalle diverse fonti ecclesiali circa 100.000 euro all’anno, mentre le fondazioni diocesane ricevono ciascuna, dalla propria diocesi, circa 40.000 euro. Il totale è perciò di circa 1.200.000 euro. Esiste poi il vastissimo arcipelago del volontariato, molto difficile da misurare e valutare. Secondo Cnel e Istat, ci sono in Italia oltre 3 milioni di volontari, un terzo dei quali sono inseriti in realtà ecclesiali. Escludendo quelli già calcolati nello sport, negli oratori ecc., si valuta in 2 miliardi e 800 milioni di euro il controvalore economico annuo del volontariato di ispirazione ecclesiale. Un settore a parte è quello dei migranti, di cui la Chiesa si è sempre occupata, sia assistendo gli italiani che andavano all’estero, sia cercando di accompagnare l’impressionante e inedito afflusso di immigrati nel nostro Paese. La fondazione Migrantes si occupa di molte categorie di essi, attraverso oltre 700 centri pastorali sparsi nelle diocesi. Ma non si devono dimenticare i 400 sacerdoti e le 150 suore che assistono tuttora i nostri emigrati all’estero. Le iniziative sono innumerevoli, da quelle che riguardano la scuola (diretta, ad esempio, ai figli dei circensi e dei fieranti) a un fondo di aiuto per rimpatriare le salme degli immigrati (nel 2011 e nel 2012 ne hanno usufruito un centinaio di persone). Intenso è anche l’impegno dei parroci e delle parrocchie dei luoghi di sbarco, come Lampedusa. All’inatteso arrivo a Bari della famosa nave «Vlora», carica di 19.000 albanesi, fecero fronte le organizzazioni di volontariato, in buona parte cattolico, prima che potessero attivarsi gli interventi dello Stato. Non inferiore a 2 milioni di euro all’anno è il contributo stimato che la Chiesa dà alla soluzione almeno parziale del fenomeno. Naturalmente a questo elenco si potrebbero aggiungere molti altri interventi, come quelli per la conservazione e valorizzazione o il restauro dei beni culturali ecclesiastici. Del resto, dell’ingentissimo patrimonio culturale italiano, circa i due terzi sono di impronta religiosa, tra i quali 80.000 chiese, oltre mille monasteri e migliaia di archivi e biblioteche. I fondi necessari provengono sia dall’8 per mille destinato alla Chiesa cattolica, gestito dalla Cei, che in genere però sovvenziona non più del 50% della spesa prevista, mentre al resto devono provvedere le autorità locali, le associazioni religiose o i benefattori. Nel 2010 la spesa totale dei 439 progetti di restauro ammessi al contributo della Cei è stata di 135,8 milioni, di cui 55,7 erogati dalla Cei (grazie all’8 per mille), 71,5 frutto di altre risorse ecclesiastiche, e il resto mediante enti pubblici o sponsor. E si può ritenere che questa sia mediamente la cifra spesa ogni anno.
 

Alcune conclusioni 

Da quanto abbiamo detto appare chiara l’intenzione dell’Autore, e la nostra, non tanto di documentare con precisione l’apporto della Chiesa italiana, mediante tutte le sue componenti, alla società italiana (che dovrebbe ammontare a vari miliardi di euro), quanto di mostrare la capillarità della presenza della Chiesa anche nel sociale. L’Autore della ricerca parla di «denaro fatto risparmiare allo Stato». Noi preferiamo parlare di contributo, anche economico, che la Chiesa dà alla società italiana, al cui bene comune tutti sono chiamati a contribuire. L’intenzione è quella di far emergere, in qualche modo, l’opera silenziosa e quotidiana della Chiesa, che spesso viene data per scontata. Si tratta di una presenza capillare ed efficace, spesso condotta con mezzi ridotti e improvvisati, ma pur sempre cospicui, anche se non tocca alla Chiesa risolvere tutti i problemi. Alcuni settori per secoli curati soltanto da essa, come l’assistenza ai malati e l’istruzione, sono stati oggi fatti propri dallo Stato, spesso però impari al compito. Oltre all’opera di supplenza o di integrazione, che a nostro avviso sarà necessaria in Italia ancora per molto tempo, la Chiesa offre o dovrebbe offrire anche ospedali e scuole esemplari e pervasi da uno spirito che non sempre le istituzioni dello Stato sanno offrire. La sua presenza, come quella di altri organismi privati non religiosi, in ogni caso serve a dimostrare il pluralismo necessario in ogni società, anche moderna, in cui accanto allo Stato devono trovare posto altri soggetti in grado di contribuire in modo autonomo al bene comune.

Le cifre indicate sono imprecise e spesso approssimative, ma probabilmente per difetto. Quanto viene fatto dai credenti in famiglia o nel privato, con amore e dedizione, sfugge alle statistiche. Il libro, ad esempio, occupandosi soltanto dell’impegno della Chiesa in Italia, non parla dell’impegno da essa profuso nei Paesi in via di sviluppo, dove da secoli religiosi, religiose, sacerdoti, laici e laiche si spendono senza riserve, oggi anche tramite ong e organismi di volontariato. Sarà bene ricordare che in tutto questo parliamo di Chiesa italiana, e non di Vaticano, con le cui finanze viene spesso fatta confusione. Una parte della stampa è in questo male informata. Molto spesso, però, anche giornalisti critici verso la Chiesa ne riconoscono la funzione e l’azione sociale, sia come «ultima sponda», sia nella gestione delle emergenze e delle necessità di ogni giorno.

Di GianPaolo Salvini S.I.

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