Da GiornaledellUmbria.it del 29 giugno
L’uomo savio, sostiene Francesco Guicciardini nei suoi Ricordi, incarna l’equilibrio, è continuamente attento a «pensare, esaminare, considerare bene ogni cosa etiam minima», poiché «quanto più e meglio si pensa alle cose, tanto meglio si intendono e si fanno». Il saggio, continua lo storico fiorentino, deve valutare con attenzione le conseguenze delle proprie decisioni, deve evitare rischi inutili e danni irreparabili, non può lasciarsi «portare dal corso dell’acqua», non può «darsi come bestia in preda della fortuna, ma come uomo andare con la ragione». La saggezza implica dunque la dote preziosissima della prudenza, la prima delle quattro virtù cardinali (già elencate da Platone e Aristotele e passate poi dalla cultura ellenica alla morale cristiana).
Ma la prudenza da somma virtù può tramutarsi in difetto. Può degenerare in paura (di sbagliare), in titubanza perpetua, in pernicioso immobilismo, in colpevole inazione foriera di una dannosa conservazione dello status quo.
Questa amara riflessione, calata nella realtà italiana degli ultimi anni, è il punto di partenza di Opzione zero. Il virus che tiene in ostaggio l’Italia, tagliente e documentato pamphlet di Francesco Delzìo, pubblicato per i tipi di Rubbettino. L’idea forte dell’autore – 40enne, docente universitario, scrittore e manager di successo, oltre che nota voce radiofonica – è che l’Italia si sia lasciata stritolare dalle degenerazioni della prudenza, divenendo un Paese in crisi permanente in cui produzione, produttività e popolazione non crescono più e l’occupazione cala inesorabilmente. Il «male italiano» all’origine di una simile involuzione si chiama «opzione zero» e si concretizza nello scegliere di non scegliere: negli ultimi 20 anni, rileva Delzìo, «nella gran parte dei casi in cui un Ministro, un Sindaco, un dirigente pubblico, un grande imprenditore, un Rettore ha dovuto adottare una decisione nel nostro Paese – assumendosi una responsabilità e i rischi a essa collegati – ha scelto in realtà l’Opzione Zero». Ha scelto, cioè, di non fare assolutamente nulla. Per non sbagliare, per non rischiare, «per vivere tranquilli oggi, facendo finta che non ci sarà mai un domani».
L’Italia, sostiene Delzìo – già autore del fortunato volumetto Generazione Tuareg (2007) -, è dunque un Paese malato. Malato di una patologia nazionale che si concretizza nell’immobilismo, nella «incapacità di avere fiducia negli altri», nella pratica dell’invidia più che dell’ambizione. Ma dove e in che modo si manifesta l’irriducibile mantenimento dello status quo, frutto di un virus che pare dominare le menti degli italiani? Nella politica innanzitutto. Che oggi sembra vivere in catene, vittima del «cannibalismo» delle Procure e ostaggio della burocrazia: nella pubblica amministrazione il verbo più usato non è «decidere» ma «protocollare», ed è ormai evidente come la dirigenza amministrativa abbia «usurpato» la politica, bloccando «qualunque taglio alla spesa per non cedere quote di potere». La priorità assoluta del funzionario pubblico – scrive Delzìo – è «pararsi il culo» e «scaricare la responsabilità in mani altrui» per timore di essere giudicato o condannato. Meglio decidere di non decidere, per non subire potenziali conseguenze negative. Al timore del potere giudiziario si sommano l’incapacità dei partiti – evidente dall’inattendibilità dei programmi elettorali, compreso quello del Movimento 5 Stelle che provocherebbe «il boom del debito pubblico italiano», facendolo aumentare «di circa 200 miliardi di euro» – e la mancanza di elaborazione del pensiero politico.
Dall’immobilismo politico discendono una serie di conseguenze evidenti, acuite dalla Grande Crisi: l’asfissia del mercato del lavoro, aggravata dalla fuga dei nostri ragazzi dai lavori manuali, più forte che nel resto del mondo «a causa del mito sessantottino dell’Università per tutti»; la pessima gestione del nostro straordinario patrimonio culturale, non di rado depotenziato dalle stesse Sopraintendenze, «dotate di formidabili e arbitrari poteri di veto»; la noncuranza verso il Mezzogiorno (il Sud, con i suoi bar traboccanti di disoccupati, rischia di diventare il simbolo dell’«eutanasia di un intero popolo»).
Decisamente realista e privo di facile ottimismo – anche se venato di un’eccessiva fiducia nella «new age renziana» -, Opzione zero non manca però di speranza. Il nostro Paese possiede energie vitali straordinarie, gusto e raffinatezza. Nel mondo, avverte Delzìo, c’è una forte e crescente «domanda di Italia». Solo noi italiani sembriamo non averne consapevolezza.
Di Leonardo Varasano
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