Tensioni in Turchia «Repressione e censura i passi indietro di Erdogan» (Giornale di Brescia)

del 11 Giugno 2013

Dal Giornale di Brescia dell’11 giugno 2013

Il prof. Fracchiolla, docente di Dinamiche della globalizzazione, parla della crisi che Ankara sembra non riuscire a governare
Sulla situazione politica in Turchia e sui suoi possibili sviluppi sul piano interno e internazionale abbiamo intervistato Domenico Fracchiolla, docente di Dinamiche della Globalizzazione alla Luiss Guido Carli, autore del saggio, fresco di stampa, «La democrazia in Turchia tra oriente mussulmano e occidente europeo» (Rubbettino, 101 pagine, 12 euro).

Professor Fracchiolla, in che modo la primavera araba ha influito sugli orientamenti politico-diplomatici della Turchia verso il vicino Oriente?

La primavera araba ha modificato il quadro dell’azione politica e diplomatica assertiva della Turchia in Medio Oriente. Le rivolte delle società arabe hanno aggravato lo iato che la Turchia conosce tra la scelta di accogliere le istanze di rinnovamento politico e di democratizzazione di quei paesi e gli interessi nazionali di realpolitik, anche alla luce del rischio di un possibile riflusso del movimento, un «inverno arabo» condotto dalle élite vecchie e nuove al potere, che tradisca le aspettative delle popolazioni. Negli ultimi venti anni la politica turca si è arricchita di alcune dimensioni, in passato messe da parte ad opera della politica di laicizzazione dello Stato voluta da Ataturk e dagli equilibri della guerra fredda. Queste sono rinvenibili in politica interna nell’affermazione nella piattaforma programmatica dell’Akp, il partito di Erdogan, ed in politica estera nella politica assertiva e di ampio respiro, multiforme e multidirezionale, di cui il ministro degli esteri Davutoglu è il principale rappresentante

Le chiavi per comprendere la politica estera di Ankara risiedono dunque nella sua politica interna?

Sì. La possibilità che la Turchia diventi un modello per i paesi interessati dalla primavera araba dipende dagli esiti del processo di consolidamento democratico. Le tensioni in corso pongono un serio pregiudizio alle credenziali di stabilità, affidabilità e alla funzione d’indirizzo che Ankara potrebbe svolgere. Insieme al Akp, l’esercito è uno dei due pilastri fondamentali del sistema politico turco. Finora esso non ha preso posizione di fronte allo sviluppo degli eventi. L’Esercito, protagonista fondamentale della vita della Repubblica in tutti i passaggi significativi, è intervenuto nelle situazioni d’instabilità politica e sociale, con scadenza quasi periodica (ogni dieci anni) fin dagli anni ’60. Oggi si trova ad affrontare la crisi da una posizione di partenza di debolezza, in seguito al fallimento del colpo di stato del 2007 e alla politica di Erdogan di limitazione delle sue prerogative di controllo politico e di interessi economici. Tuttavia, le risorse di cui dispone, insieme al forte spirito di corpo e ad un livello ancora considerevole di autonomia, possono essere delle risorse preziose capaci di indirizzare gli esiti della crisi.

In questa fase però l’esercito è rimasto in disparte…

Il silenzio di questi giorni, ineccepibile sul piano formale e di rispetto istituzionale, non riflette la reale natura dei rapporti di forza e ha creato un clima di attesa per la posizione che i militari potrebbero prendere.

Che peso hanno riformatori islamici moderati nella società turca?

La straordinaria e duratura affermazione elettorale dell’Akp in tre successive tornate elettorali nazionali, con un continuo incremento di voti (34% nel 2002, 46% nel 2007 e

49,83% nel 2011) sono la cartina di tornasole del peso considerevole che hanno acquisito i riformatori islamici moderati nella società turca e dopo un decennio di permanenza nelle istituzioni, nell’apparato statale del paese.

In che misura la violazione di diritti fondamentali di manifestazione ha leso il prestigio internazionale dell’Akp e di Erdogan?

Il prestigio internazionale dell’Akp e quello personale di Erdogan sono stati fortemente ridimensionati. Il premier ha goduto per anni di un bonus di credibilità concesso dall’Ue per la capacità dimostrata di riformare il paese in senso democratico. Le criticità sul rispetto dei diritti umani, contenute anche nell’ultimo Progress Report del 2012 della Commissione Ue sulle violazioni delle Convenzioni internazionali sui diritti umani e sulle minoranze, potrebbero irrigidire lo stato delle relazioni della Turchia con l’Ue e frustrare le aspirazioni dell’Akp di assimilazione ideale alla famiglia dei grandi partiti europei membri del PPE, di cui l’Akp, ammesso già come osservatore, vorrebbe essere il corrispettivo islamico.

Pensa che le tensioni sociali apolitiche nella società turca siano destinate ad acutizzarsi?

Da una parte, la mobilitazione spontanea della popolazione è espressione di una coscienza civica e della presenza diffusa di valori laici e liberali nella cultura politica e civica della società turca. D’altra parte, però, la reazione delle forze dell’ordine, la mancata copertura delle manifestazioni da parte dei media nazionali e la violazione di diritti fondamentali di manifestazione gettano forte discredito sulle credenziali del partito di governo dell’Akp e di Erdogan come leader di respiro internazionale.

E quali possono essere le conseguenze più rischiose?

Il rischio che le tensioni si acutizzino è reale, molto dipenderà dalla linea politica che Erdogan deciderà di tenere e dalle frizioni interne al suo partito. Di sicuro la linea di fermezza e di scontro frontale tenuta dal primo ministro fino a questo momento ha suscitato molte critiche ed è efficace solo per conservare il potere nel breve periodo.

 

Di Sergio Caroli

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