Ucraina, l’“orso russo” ha battuto l’Occidente (La Sicilia)

di Sergio Caroli, del 7 Maggio 2015

Da La Sicilia del 31 marzo

Per gran parte della seconda metà del XX secolo l’Unione Sovietica ha controllato il grande spazio geopolitico che dall’Elba andava a Vladivostok, dal Caucaso all’Hindu Kush. Dopo il collasso del 1991, la Russia ha arretrato di quasi mille chilometri la sua frontiera a occidente, spianando così a Kiev la contrastata via all’allineamento all’Unione europea e agli Usa. Di qui la storica frattura. I cittadini delle grandi aree urbane russe «hanno interpretato “la rivoluzione di Majdan Nezalenosti” (la piazza centrale di Kiev, ndr) come il tentativo degli Stati Uniti di spingere l’Ucraina verso la Nato e quindi di preparare il terreno per la definitiva disintegrazione della Russia come Grande Potenza». Su tale assunto si fonda “Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis (ordine) mondiale” (Rubbettino, pp. 105, euro 10), il recente volume di Eugenio Di Rienzo, professore ordinario di Storia moderna all’università di Roma La Sapienza. Agli inizi del saggio, lo studioso cita emblematicamente Henry Kissinger che, il 5 marzo 2014, in netto dissenso con il “falco” Zbigniev Brzezinski, sostenitore di una risposta armata dell’Alleanza Atlantica all’«aggressione di Putin contro Kiev», ha affermato che «Mosca non potrà mai accettare che l’Ucraina divenga un membro della Nato, cioè uno Stato virtualmente ostile i suoi interessi strategici».
Professor Di Rienzo, lei afferma che dopo i fallimenti di Boris Eltsin, Putin ha riportato un notevole successo nel frustrare i tentativi occidentali di penetrare nello spazio post-sovietico. Quali?
«Così come accaduto per la Georgia, nel 2008, anche ora per l’Ucraina Putin ha dimostrato all’Occidente di non potere tollerare che un’incontrollata espansione della Nato possa mettere a repentaglio la sicurezza strategica russa. L’insurrezione filo-russa delle province sud-orientali ucraine, supportata se non addirittura fomentata da Mosca, ha posto il governo di Kiev sotto la minaccia di un ricatto militare che gli ha impedito di aderire all’Unione europea, oggi, e di entrare a far parte dell’Alleanza atlantica domani. L’annessione della Crimea ha poi con
sentito alla Russia di mantenere il controllo sul principale porto del Mar Nero e quindi di permettere alla sua flotta d’intervenire, attraverso Bosforo e Dardanelli, nel cruciale arco di crisi che va dal Golfo Persico al Levante, al Canale di Suez, all’Africa settentrionale. Infine, proprio, nel corso della crisi la Federazione Russa ha rafforzato i suoi rapporti economici e politici con Cina, India, Iran, Turchia, Cipro, Egitto, Repubbliche islamiche dell’ex Asia sovietica ricchissime di petrolio e gas naturale».
Erano prevedibili le conseguenze politiche e militari – a tutt’oggi i morti sono oltre 5mila – della deposizione del presidente filorusso dell’Ucraina, Victor Janukovyc, avvenuta la notte del 22-23 febbraio 2014?
«Assolutamente prevedibili. La Russia non poteva tollerare che l’Ucraina entrasse in uno schieramento potenzialmente ostile a Mosca. L’Ucraina è, infatti, una pedina fondamentale del nuovo “Grande Gioco” della politica mondiale. Lo è perché con i suoi 46 milioni di abitanti e i suoi 700mila chilometri quadrati di estensione è il secondo Stato più grande d’Europa. Lo è per la ricchezza
delle sue risorse minerarie non ancora completamente sfruttate così come per le immense risorse agricole e per il suo apparato industriale. Lo è per il passaggio di circa 40.000 chilometri di gasdotti che la collegano alla Russia e alla zona del Mar Caspio e che soddisfano il 2531% dei bisogni energetici dell’Ue (e il 43% dell’Italia). Lo è da un punto di vista strategico perché condivide un lunghissimo e pianeggiante confine con la Russia, privo di ostacoli naturali e quindi fatalmente esposto ai rischi di una penetrazione militare».
Quali gli effetti delle sanzioni economiche contro la Russia, a Oriente e in Occidente?
«Sicuramente sono molto gravi per la Russia che deve scontare ora anche il brusco calo prezzo del petrolio, i cui proventi sostengono per il 70% la sua economia. Gravi lo sono per la Germania e per i Paesi meridionali dell’Ue. Più gravi ancora, valutabili ad almeno 170 milioni di euro, lo sono per l’Italia, grande esportatrice in Russia di prodotti alimentari, beni di lusso, componentistica industriale e meta privilegiata del turismo russo».
Lei scrive che la tregua in atto in Ucraina si è rivelata una vittoria per Mosca. Ma quali ritiene possano essere gli esiti finali del conflitto?
«Si è trattata di una vittoria ai punti ma sicuramente importante. Con uno stato di guerra civile congelata, che si estende a buona parte dell’Ucraina, Kiev sarà sempre condizionata nelle sue decisioni politiche da una ripresa delle ostilità delle milizie separatiste controllate da Putin. Per ciò che riguarda il futuro, penso che la crisi sarà lunga e sanguinosa come lo fu la guerra etnico-religiosa che fece seguito al crollo della Iugoslavia».
Ritiene fondato che sia nei programmi del Dipartimento di Stato detronizzare Putin in virtù di una “Rivoluzione di palazzo”?
«Il rovesciamento di Putin sarebbe l’unico modo di risolvere la crisi a favore di Washington. Non sarà però facile farlo. Putin ha l’appoggio dei servizi, dell’esercito, dell’importante comparto industriale-militare e, quello che più conta, gode del consenso dell’80% del popolo russo e di una parte consistente dell’opinione pubblica mondiale».

di Sergio Caroli

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