Machiavelli e la teoria della congiura (Il Mattino)

di Maurizio Tarantino, del 20 Gennaio 2015

Da Il Mattino del 20 gennaio

Provate a immaginare: siete da quindici anni l’uomo di fiducia del capo della Città; siete un tecnico, non un politico (anche se condividete l’orientamento popolare e antiaristocratico del governo). I vecchi signori, cacciati vent’anni prima, si riprendono il potere con un colpo di Stato; non siete un ingenuo e vi aspettate un po’ di spoils system, ma pensate anche: «Ho le mie idee, ma sono un bravo tecnico, senza modestia, il più bravo; forse non mi lasceranno al mio posto, ma non potrarmo fare a meno dei miei consigli, e posso avere ancora un molo (e uno stipendio)». E provate pure a dargliene, badando a distinguervi dai molli che fanno gli occhi dolci ai nuovi potenti, ma anche dai più fieri (e scriteriati) oppositori. Strategia dignitosa e ben pensata, se non fosse che uno di quegli scriteriati si lascia scoprire una lista di potenziali nemici del nuovo regime e fautori del tirannicidio, nella quale c’è pure il vostro nome. E così, altro che conservare un molo e lo stipendio: vi ritrovate in carcere, torturato, a un pelo dal perdere la testa, e comunque condannato all’esilio. Non vi resta che scrivere e, qualche anmo dopo, seguendo il filo delle antiche storie, il discorso vi porta a ragionare sulle congiure. E la vostra disapprovazione sarà pure ben motivata, soprattutto dal fatto che una congiura deve essere opera di pochi, mentre chi vuole influenzare il corso degli eventi deve tener conto dei molti; ma è impossibile che nel vostro giudizio sulle congiure non agisca anche il ricordo di quei terribili momenti, quando, chiuso in una cella, con le spalle slogate dai tratti di fune ricevuti, sentivate dabbasso le preghiere per i condannati a morte.
È questo, più o meno, ciò che accadde a Niccolò Machiavelli tra il 1512 e il 1518, e che la recente edizione dei suoi scritti Sulle congiure (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014, pagg. 341, euro 18) fa tornare di nuovo in luce. L’interessante operazione si deve ad Alessandro Campi, che ha messo insieme, oltre al lungo capitolo dei Discorsi che dà il titolo al volume, una decina di altri sparsi scritti machiavelliani sull’argomento; il tutto corredato da un esauriente commento e preceduto da un’ampia introduzione. Sulla quale occorrerà dire qualcosa, partendo però da un ritratto del suo autore. Campi è un valente politologo e di solito, quando i politologi si avvicinano a Machiavelli, guardano (se pure lo fanno) con distacco alle ricostruzioni degli storici del pensiero e della letteratura (per altro ricambiati da questi ultimi con pari sussiego). MaCampi è anche uno studioso di buon senso (ci perdonerà se gli attribuiamo l’appellativo che trent’anni fa Gennaro Sasso, il più grande machiavellista vivente, affibbiò a un giovane che gli aveva sottoposto la sua tesi di laurea); e sa bene che le «strutture» di un pensiero politico non possono essere separate dalle mobili vicende entro le quali quel pensiero ebbe a formarsi; sa anche che storicizzare sul serio Machiavelli è impresa assai faticosa (e non è un caso che il suo libro sia dedicato a due machiavellisti come Emanuele Cutinelli Rèndina e Giorgio Inglese). Non ci si meraviglierà allora se la tesi sostenuta da Campi nel suo saggio introduttivo emerga come distillata da una lunga e paziente disamina dei fatti storici (la tesi, in sintesi, è che l’ avversione machiavelliana per le congiure, quella «psicologica» e quella «concettuale», non è tale da impedire al pensatore fiorentino di considerare e analizzare comunque la congiura come uno dei possibili «modi» attraverso cui pervenire alla «presa del potere»).
E nemmeno giungerà inopportuna la conclusione, che, se le congiure pensate da Machiavelli pertengono alla storia, fatta dagli uomini e dalle loro passioni, e a una sorta di «microfisica del Potere», i tanti complotti pensati (o immaginali) ai nostri giorni pertengono invece a una «metafisica del Potere», alla quale Machiavelli non avrebbe potuto far altro che indirizzare il suo celebre ironico sorriso.

di Maurizio Tarantino

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