La fine ingloriosa dei popolari PD (Il Tempo)

del 15 Aprile 2013

Da Il Tempo del 13 aprile 2013

La crisi convulsiva del Pd, che è a monte dello stallo in cui si trovano le ricerche dei nuovi inquilini del Quirinale e di Palazzo Chigi, non è solo la conferma dell’ “amalgama malriuscito” sconsolatamente ammesso già alla fine del 2008 da Massimo D’Alema. Che tuttavia, incontrando l’altro ieri il suo ex rottamatore Matteo Renzi e ieri Pier Luigi Bersani, sembra ancora fiducioso, ostinato com’è, di scongiurarne la scissione. Equivalente alla dissoluzione e/o alla sostituzione dei post-democristiani con i post- comunisti di Nichi Vendola-ex Fausto Bertinotti, cui potrebbe risultare utile il volenteroso ministro uscente Fabrizio Barca. Il quale si è appena iscritto al Pd per affrancarlo -ha detto- dalla “ipocrita” denominazione di “centrosinistra” e farlo diventare solo e tutto di sinistra.
Si sta avverando, con la crisi del Pd, anche la profezia più o meno esplicita di Gerardo Bianco, due volte presidente del gruppo democristiano della Camera, ministro della Pubblica Istruzione con Giulio Andreotti, segretario e poi presidente del Partito Popolare Italiano dopo la scissione de11995 consumata da Rocco Buttiglione. Cui egli subentrò alla guida del Ppi-ex Dc avvertendo subito, e lucidamente, che la sopravvivenza del movimento” era minacciata non solo o non tanto dall’avventura buttiglioniana, allora configurabile a destra, quanto dall’attrazione più o meno fusionistica esercitata dal Pds- ex Pci. Che, privo ormai di un saldo radicamento ideologico dopo il crollo del muro di Berlino, era rimasto forte solo della sua organizzazione.
In un libro uscito proprio in questi giorni- ” La parabola dell’Ulivo”, Rubbettino editore- Bianco ricostruisce con l’amico Nicola Guiso la sua sfortunata resistenza a quell’attrazione fatale. Una resistenza cominciata con la scommessa incauta -si può oggi ben dire- sull’aiuto di Romano Prodi, cui Bianco sperava di passare la guida del Ppi, anche dopo la nascita dell’alleanza dell’Ulivo e l’arrivo del professore emiliano a Palazzo Chigi, nel 1996. Ma Prodi aveva ben altro per la testa. Ed era proprio la fusione di quel che restava della D c con i post-comunisti attraverso un percorso fatto, più o meno furbescamente, di deviazioni. La prima delle quali era statala formazione nel 1995 di un “Polo democratico”. Fu poi la volta dei “Comitati per Prodi”. E poi ancora, dopo l’arrivo a Palazzo Chigi nel 1996 e la fine prematura del suo primo governo, fatto cadere nel 1998 da Bertinotti, con quella separazione che Bianco chiama sarcasticamente “asinina”. L’allusione è all’immagine dell’asino data dal pro diano di ferro Arturo Parisi al movimento creato con una spaccatura del Ppi. Seguì la deviazione della Margherita guidata da Francesco Rutelli, realizzata nel 2001 con l’aiuto di un Ppi nel frattempo passato sotto il controllo pieno di Franco Marini. Che pure nel 1995 aveva condiviso le resistenze di Bianco ai progetti di superamento del partito.
La deviazione della Margherita fu l’ultima nel percorso immaginato evoluto da Pro di, nel frattempo diventato presidente della Commissione dell’Unione Europea, a Bruxelles. Da dove però continuava non a seguire ma a indirizzare i suoi amici, pronto a rituffarsi pienamente nella politica italiana, come avvenne con la formazione dell’Unione, sostituiva dell’Ulivo, e la sua nuova candidatura a Palazzo Chigi nelle elezioni de12006. Dalla Margherita si passò nel 2007 alla formazione del Pd sotto la guida di Walter Veltroni, ormai spinto però a candidarsi, sia pure inutilmente, alla successione di Prodi alla testa del governo nelle elezioni successive, destinate a svolgersi anticipatamente nel 2008.
Si verificò quindi il paradosso di un Pd nato come traguardo di una corsa cominciata da Prodi nel 1995 ma tradottosi nella conclusione non proprio felice della seconda ed ultima avventura governativa del professore. Che fu battuto al Senato a meno di due anni dal suo ritorno a Palazzo Chigi per passare la mano al quarto governo di Silvio Berlusconi, senza avere questa volta alcuna prospettiva più o meno consolatoria. Stanno cercando di costruirgliela in questi giorni i fedelissimi, ma più post-comunisti che post-democristiani, magari con qualche aiuto dei grillini, coltivandone la candidatura al Quirinale nelle votazioni che cominceranno nell’aula di Montecitorio il 18 aprile. In verità, la storia raccontata da Bianco nel suo libro si ferma al 2000, sulla soglia della nascita della Margherita. Il resto, compresa la misera fine fatta ormai dai popolari nel Pd, n’è stato solo il triste, penoso ma coerente sviluppo. Di cui sembra che abbiano cominciato ad accorgersi, dopo avervi molto contribuito, anche personalità come Rosy Bindi e Dario Franceschini, scottati anche sul piano personale dai “cambiamenti” unidirezionali, a sinistra, perseguiti e realizzati da Bersani. E da quelli, già accennati, che si propone di costruire Barca sviluppando sino alle estreme conseguenze, quelle fusionistiche, l’alleanza elettorale del Pd con Vendola.

intervista di Francesco Damato

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