I diari di Fanfani: storia senza autocelebrazione (Avvenire)

di GIOVANNI GRASSO, del 12 Luglio 2013

Da Avvenire del 12 luglio 2013

«Non desidero infastidire i vivi né disturbare i morti». Erano queste le volontà, espresse con il proverbiale spirito da toscanaccio, di Amintore Fanfani a proposito della pubblicazione dei suoi diari. Un’opera, nel suo genere monumentale, che va dal 1943 fino al 1990, coprendo quasi tutta la storia della cosiddetta Prima Repubblica. Eppure, per volontà e ostinazione di alcuni suoi stretti collaboratori (tra cui il suo ex portavoce Ignazio Contu, improvvisamente scomparso due anni fa), sono appena usciti i primi quattro volumi (1943-63) e presto vedranno la luce gli ultimi quattro (1964-90). L’iniziativa, che getta una nuova luce sull’opera e il pensiero dello statista democristiano, è nata da una sinergia tra la Fondazione Fanfani, l’archivio storico del Senato e l’editore Rubbettino. E si è avvalsa come curatori di personalità del livello di Piero Roggi, Agostino Giovagnoli, Vera Capperucci e Renato Moro. La prima parte dei diari è stata presentata ieri alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza del presidente del Senato Piero Grasso, che ha ricordato l’impegno di Fanfani come presidente di assemblea nel promuovere «la centralità della democrazia parlamentare quale insieme di procedimenti per l’integrazione democratica del pluralismo e per la legittimazione degli assetti di governo». Roggi e Moro hanno parlato diffusamente del valore storico dei diari che, non essendo destinati alla pubblicazione, erano concepiti come una serie di appunti, di materiali di lavoro, di “memo” da utilizzare per l’attività politica futura. Una circostanza che fa acquistare valore documentario dell’opera, visto che non ha alcuna finalità autocelebrativa o apologetica. Conferma Ettore Bernabei, uno dei collaboratori più stretti di Fanfani: «Le ho viste nascere, molte di queste pagine di diario. Fanfani era molto prudente prima di scrivere questi appunti: non dovevano servire per i posteri, ma per il suo lavoro. Lo faceva con molto distacco, senza enfasi o giudizi». D’altra parte si spiegano proprio in quest’ottica dei veri e propri silenzi, delle pagine vuote, su alcune vicende storiche che ebbero Fanfani come protagonista: come ad esempio la crisi del gruppo dossettiano, per la quale non c’è nei diari nemmeno una riga. Ma era questo un fatto così rilevante che probabilmente non necessitava di ricordi scritti. Dalle pagine dei diari, secondo il presidente emerito della Consulta Francesco Paolo Casavola, emerge a tutto tondo il profilo di eccezionale politico e uomo di governo dotato «di forza di indipendenza e di sincerità», capace come pochi altri «di passare dai principi ai fatti», così lontano «dallo stereotipo diffuso del democristiano accomodante, carrierista e clientelare». Un uomo che, animato da una profondissima fede religiosa, riuscì a coniugare mirabilmente cattolicesimo e progresso, conquiste sociali, difesa della libertà e sviluppo della democrazia.

DI GIOVANNI GRASSO

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