Demolita la leggenda di Alarico e del suo tesoro nel Busento (Gazzetta del Sud)

di storia ce n', del 6 Novembre 2013

Da Gazzetta del Sud del 4 novembre

Di storia ce n’è poca, e altrettanto di leggenda. Il grosso è tutta pura invenzione. Qualcuno aveva sospettato il sostanziale bluff, qualche altro ha tentato di far emergere il proprio dissenso rispetto alle convinzioni imperanti, ma ora ecco spuntare la confutazione ufficiale, ad alta voce, sostenuta da ricerche approfondite e da appropriate analisi portate avanti in ambito accademico.
Crollano alcuni fra i miti ai quali sono affezionati i cosentini, a partire da quello di Alarico. Li demolisce un libro, appena pubblicato, del professor Giovanni Sole, docente di storia delle tradizioni popolari presso il dipartimento di studi umanistici dell’Università della Calabria.
“Il barbaro buono e il falso beato”, questo il titolo del coinvolgente volume (Rubbettino, 190 pagine, 12 euro) destinato a suscitare polemiche e, soprattutto, risentimenti. Seppure con garbo e diplomazia, lo studio di Sole fa infatti piazza pulita di gran parte delle favole di cui si sono alimentati, per secoli, gran parte degli ambienti culturali di Cosenza, e su cui si è (incautamente, lascia dedurre il cattedratico di Arcavacata) costruito, per esplodere ultimamente col “fenomeno Alarico”. Impazza, infatti, il nome del re dei Visigoti, che nel 410 sarebbe morto (e sepolto con il suo tesoro, notevolmente rimpinguato dalle razzie durante il “sacco di Roma”) sotto il letto del Busento: siamo sommersi dalle insegne, dalle etichette, dalle ragioni sociali, dalle associazioni, dai progetti, dalle iniziative varie di enti pubblici e soggetti privati che evocano il sovrano barbaro, al quale si è deciso di dedicare anche un museo, previsto ai piedi del colle Pancrazio, sul sito attualmente occupato dall’ex Jolly, in prossimità della confluenza del torrente nel Crati. Chissà quali documenti e reperti goti – commenta il docente universitario – saranno esposti nelle sue sale!
L’esplosione di attenzioni per il condottiero visigoto deriva dalla suggestione che sui cosentini oggi più che mai esercita la sua figura, nei confronti della quale sta maturando una frenetica, quasi ossessiva, passione ma infondata, sostiene il professor Sole che, nel suo libro, boccia senza remora alcuna quasi tutto quanto si è finora pensato, sostenuto, osannato circa il rapporto speciale esistente fra Alarico e la città, rapporto a suo avviso messo su unicamente nel rispetto di un antico vizio, di un plurisecolare “debole” cosentino. La verità – asserisce il cattedratico nel suo saggio, smontando pezzo su pezzo il castello di fantasie eretto nel tempo e soffermandosi su questa e su diverse altre personalità legate in qualche modo al territorio – è che ai cosentini, per darsi un’identità a conferma del primato che le credenze gli assegnano ha fatto comodo prendere, metabolizzare quanto in realtà è stato creato a ragion veduta sulla città, le sue figure di spicco, i suoi eventi memorabili. Ne deriva che siamo di fronte in prevalenza a tutta una montatura, come d’altronde sottolinea esplicitamente il sottotitolo del libro (“Sull’invenzione della storia e della tradizione in una città di provincia”). Una montatura ingigantitasi via via, evidenzia Sole passando in rassegna e analizzando circostanze, fonti, autori.
Il docente riferisce di scrittori preoccupati unicamente, nello scorrere dei secoli, di fornire ad ogni costo una ricostruzione positiva delle vicende cosentine in modo da far emergere una città dal glorioso passato, ricorrendo a palesi esagerazioni e ad un uso disinvolto delle fonti nonché modificando gli avvenimenti e mescolando il vero al falso: da qui le innumerevoli contraddizioni e le madornali incongruenze facilmente rilevabili tra i vari testi su un medesimo argomento. Ciò è accaduto perché molti disinvolti autori – mette impietosamente in risalto il professor Sole – hanno lavorato nel tempo con un preciso fine: accompagnare, man mano, la trasformazione di Cosenza da patria di rudi spartani, nell’antichità, a centro eccelso di lettere ed arti (da qui il titolo di Atene delle Calabria) a metropoli multiculturale e multietnica, come vuole l’obiettivo/ambizione dei nostri giorni.

Di Antonio Garro

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