Francesco Delzio: “Oggi serve una nuova liberazione di Roma” (askanews.it)

del 4 Febbraio 2021

Francesco Delzio

Liberare Roma

Come ricostruire il “sogno” della Città Eterna

“Oggi serve una nuova liberazione di Roma”: a 150 anni dalla proclamazione di Roma capitale d’Italia, Francesco Delzio, manager esperto di relazioni istituzionali, docente alla Luiss e autore del volume “Liberare Roma. Come ricostruire il ‘sogno’ della Città Eterna” (Rubbettino), non ha dubbi. Per rilanciare l’Urbe – spiega ad askanews – è necessaria “una liberazione dalla cattiva politica, dalla pessima amministrazione, e da un sistema di rendite unico al mondo, che paralizza oggi – e l’ha paralizzata negli ultimi 15 anni – la capitale, assopisce e raffredda tutti gli ‘animal spirits’, azzera di fatto le chance per i giovani, e quindi determina uno stato di coma profondo continuo, quello nel quale oggi vive la città”.

Secondo Delzio il declino di Roma è tutto sommato recente: “Da 15 anni ad oggi – afferma – Roma ha vissuto una parabola costantemente in discesa, da tutti i punti di vista. Dal punto di vista economico il dato principale è il notevolissimo ridimensionamento dell’industria, e quindi della produttività e del valore aggiunto che sono collegate alle attività economiche. Per cui Roma ha subito una forte terziarizzazione, che l’ha impoverita dal punto di vista del valore aggiunto, delle competenze, della capacità della spinta di innovazione”. “Tutto questo – aggiunge Delzio – lo si deve essenzialmente alla mancanza di una guida politica, cioè quello che io nel libro denuncio come ‘gestionismo’: le ultime amministrazioni comunali si sono infatti limitate a gestire la città trasformandola in un grande ‘nominificio’, peraltro facendo nomine molto spesso di basso livello e senza porsi in alcun modo il tema della visione strategica della città, e quindi del suo sviluppo futuro”.

“A tutto questo – spiega ancora Delzio – si accompagna una grave anomalia, che oggi differenzia Roma da tutte le altre capitali, europee e internazionali: ovvero Roma oggi è gestibile e viene gestita con gli stessi strumenti di un comune di 5.000 abitanti; quindi non ha né lo status né il budget tipico delle capitali europee. Inoltre, negli ultimi 15 anni è stato completamente sbagliato il modello di sviluppo urbanistico della città, fondato sulla concentrazione di tutte le attività, sia quelle istituzionali sia quelle di tipo imprenditoriale e culturale, nei 15 chilometri quadrati – molto ristretti quindi – del centro storico, mentre i restati 1.275 circa chilometri quadrati della città sono stati trasformati di fatto in una grandissima periferia. Per cui è stato creato un gigante urbano – Roma è da questo punto di vista sette volte più grande di Milano ed è la capitale più grande dell’Europa continentale – basato però su una violentissima linea di demarcazione tra un centro storico molto ristretto e tutto il resto della città”.

“Questo – osserva Delzio – ha determinato anche fenomeni straordinariamente sottovalutati, ma di grande gravità sociale; ne cito uno per tutti: oggi a Roma 700.000 persone vivono al di fuori del Grande Raccordo Anulare. Vivere al di fuori del Grande Raccordo Anulare vuol dire non avere alcun presidio di sicurezza – non c’è una caserma dei carabinieri o di polizia – e vivere senza alcun servizio pubblico organizzato, dagli asili nido alle strutture sanitarie. Questa è la condizione in cui vivono oggi 700.000 cittadini romani: è una situazione oggettivamente intollerabile; abbiamo creato – negli ultimi 15 anni in particolar modo – un ‘divide’ sociale tra centro e periferia che rappresenta un primo ‘switch’ fondamentale da compiere per rilanciare la capitale”.

Quanto allo svuotamento del centro storico dei residenti romani, argomenta Delzio, si tratta di un fenomeno anch’esso recente, legato al “modello di turismo di massa” perseguito. “Da questo punto di vista ci sono una serie di segnali positivi oggi, che si svilupperanno soprattutto nei prossimi anni: ovvero, l’arrivo a Roma – sta avvenendo proprio in questi mesi – di grandi catene internazionali del turismo premium, alberghi a cinque stelle e cinque stelle più, che finalmente stanno approdando nel centro storico conquistando palazzi storici tra via del Corso e piazza Augusto Imperatore, i dintorni della Fontana di Trevi e così via. E dico finalmente perché vuol dire che finalmente Roma si sta avviando, con grandissimo ritardo rispetto alle altre capitali europee, verso quel turismo di grande qualità, quindi a minore intensità, e a minore sfruttamento del territorio, ma a maggior capacità di lasciare reddito sul territorio stesso, che rappresenta l’unica strada possibile per costruire un valore aggiunto, uno sviluppo della città, e anche per recuperare quella rete di botteghe storiche e di artigiani, negozianti di qualità che oggi sono totalmente depauperati essi stessi dal turismo di massa”.

Per il futuro di Roma, Delzio si dice “cautamente ottimista” per due motivi essenziali: “il primo – spiega – è che finalmente negli ultimi tre o quattro mesi si è riavviato, dopo tanti anni, un dibattito serio sulle prospettive, sul futuro strategico della capitale; non succedeva appunto da molti anni, e questo libro vuole dare un contributo proprio in questa direzione perché non è tanto una denuncia delle cause profonde del declino e dei mali che oggi attanagliano Roma, ma è soprattutto – la seconda parte del libro – un piano, un contributo per costruire un piano strategico per Roma nei prossimi anni”. “Il secondo motivo – conclude l’autore -, è che dopo i disastri delle ultime giunte, credo sia arrivato il momento di costruire una squadra di ‘willings’, di ‘volenterosi’, di manager al servizio della città. L’unico modo per poter riformare radicalmente il gigante burocratico romano – stiamo parlando di circa 50.000 dipendenti tra dipendenti diretti di Roma capitale e dipendenti delle controllate – è inserire appunto una squadra intera di manager, non un solo eroe, che possa ricostruire completamente il modello di funzionamento della macchina pubblica. Il motivo di ottimismo nasce dunque dal fatto che i romani finalmente – o perlomeno la classe dirigente romana – si stiano rendendo conto dell’importanza di tutto questo, e che quindi non si possa più vivere solo di una buona gestione delle rendite”.

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