Tra Atene e Parigi. Cosenza come storia e come invenzione (Il Quotidiano della Calabria)

di Tonino Ceravolo, del 28 Ottobre 2013

Da Il Quotidiano della Calabria del 26 ottobre
Forse, prima ancora di esplorare le pagine del recente volume di Giovanni Sole (“Il barbaro buono e il falso beato. Sull’invenzione della storia e della tradizione in una città di provincia”, Rubbettino, 2013), sarebbe il caso di prendere le mosse da qualche “degnità” della Scienza nuova di Giambattista Vico, pur se non citata da Sole, nella quale si respira un’aria di famiglia. Si tratta dell’apertura della sezione seconda del Libro primo, dove si ragiona della “boria” delle nazioni e della “boria” dei dotti, i quali «da’ loro tempi illuminati, colti e magnifici […] hanno estimato l’origini dell’umanità, le quali dovettero per natura essere picciole, rozze, oscurissime». Con una geniale visione della storia dell’uomo, Vico aveva squadernato il fondamento ultimo delle mitografie che gli intellettuali e i popoli costruiscono proiettando nel passato le conoscenze e i bisogni del presente: «È altra proprietà della mente umana ch’ove gli uomini delle cose lontane e non conosciute non possono fare niuna idea, le stimano dalle cose loro conosciute e presenti». Qualcosa di analogo sembra essere accaduto a Cosenza, nel corso dell’età moderna e sino ai giorni attuali, dove, a iniziare da una rilettura della vicenda di Alarico e del suo mitico tesoro seppellito, secondo la tradizione cittadina, sotto il Busento, gli intellettuali locali, ben sostenuti in tempi recenti dalle amministrazioni pubbliche, hanno elaborato un’immagine (e un’identità) della città come di una Sparta calabrese, abitata da Bruzi “valorosi e temerari”, poi trasformata in quella di un’Atene raffinata, culla di lettere e scienze, popolata di Accademie culturali, fucina di eruditi. Per giungere all’ultima metamorfosi, che ne ridisegna il profilo come quello di una “Parigi del Sud”, “multiculturale e capitale del divertimento”: «Cosenza viene presentata come la città dei teatri, delle biblioteche, delle librerie, degli artisti, delle associazioni culturali, dei caffè letterari, dei ristoranti, dei pub, dei fiumi e dei boulevard; ma anche solidale, cosmopolita e interculturale, e lo straniero, oggi come un tempo, è bene accolto e protetto». Occorre partire dal sottotitolo del volume di Sole per comprendere come queste immagini della città siano, in realtà, il frutto di un procedimento di “invenzione” della storia e della tradizione che si segnala per una duplice caratteristica: l’attribuzione al passato di caratteri che non gli appartenevano e un uso disinvolto di fonti e documenti: «Per gli storici locali – osserva Giovanni Sole – l’efficacia rivelatrice dei racconti era più importante della veridicità dei documenti. Per dare credibilità alle proprie storie, usavano disinvoltamente le fonti quando non le ignoravano del tutto, modificavano o inventavano avvenimenti, mescolavano il vero al non vero. Questo procedimento generava racconti leggendari e avvalorava un’idea della città e dei suoi abitanti che, pur derivata da false fonti, diventava in qualche modo plausibile: il tempo avrebbe dato autorità e attendibilità alle narrazioni. Quando gli eruditi si trovavano sprovvisti di fonti, non indugiavano a compensare questa carenza costruendo ad arte ragionamenti secondo cui i fatti non potevano essersi svolti se non nel modo in cui li raccontavano». Esemplari sono, in questo senso, le storie del “barbaro buono” Alarico e del “falso beato” Giovanni Calà. Intorno alla tomba di Alarico si raduna una pattuglia eterogenea di esoteristi, archeologi, improvvisati etnologi (con il contorno di nazisti e gerarchi fascisti per diversi motivi orientati allo scetticismo), vanamente impegnata nella localizzazione della sepoltura e del tesoro. Con il risultato, solo all’apparenza paradossale, che quanto più le ricerche falliscono tanto più Alarico diventa un elemento essenziale dell’identità di Cosenza, sino a costituire, ai giorni nostri, una sorta di marchio di fabbrica della città: «[…] Alberghi, ostelli, ristoranti, pizzerie, cooperative, aziende agricole, circoli culturali e palestre sono intitolati a lui; in provincia è possibile acquistare olio, pane, vino e latte col marchio di Alarico; […] Passeggiando per le vie di Cosenza si possono visitare le botteghe di Alarico, attraversare il Ponte Alarico, fermarsi presso il Largo Alarico o la Piazza dei Goti […]». Altrettanto singolare la vicenda di Giovanni Calà, prima valoroso soldato al seguito di Enrico VI di Svevia e successivamente eremita per via di un incontro con Gioacchino da Fiore, la cui biografia divenne oggetto di pesanti falsificazioni, ma che continuò a essere considerato personaggio illustre persino dopo la soppressione del suo culto, dovuta alla scoperta che le sue venerate reliquie altro non erano che ossa di asino. Insomma, quella ricostruita da Giovanni Sole è una storia in cui vero, falso e verosimile si intrecciano e nella quale gli storici (o, meglio, coloro che si presentavano come tali) non sembrano aver saputo fare il loro mestiere. Avvenimenti amplificati e narrati con il solo intento di suscitare la curiosità dei lettori, incongruenze nei racconti, debolezza delle loro ipotesi una volta messe alla prova del riscontro documentale ne avevano contraddistinto l’attività scrittoria, a tal punto che la storia di una città era diventata, nelle loro pagine, l’invenzione della storia di una città.

Di Tonino Ceravolo

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