Libertà d’azione e merito: la strada da seguire (Il Sole 24 Ore)

di Alfonso Ruffo, del 13 Gennaio 2014

da Il Sole 24 Ore del 12 gennaio

Il segreto è la libertà: libertà come autonomia, scrivono due economisti siciliani con frequentazioni internazionali, Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra, per spiegare “Come costituire una società aperta in Italia” (Rubbettino). Autonomia, si specifica, intesa come possibilità di scegliere e capacità di controllare l’effetto delle proprie decisioni all’interno di una cultura della responsabilità in grado di innescare processi virtuosi anche in termini di crescita economica.
Insomma, se vogliamo che il Paese si riprenda dobbiamo puntare sulla voglia delle persone di essere protagoniste del proprio destino secondo le regole di una sana competizione dove i più capaci sono premiati e il merito è considerato un buon misuratore della fortuna individuale. È la rivoluzione liberale vista dal basso. Che parte dagli individui e si trasmette all’intero sistema che, se non cambia, rischia di andare completamente in tilt. Saccheggiando le informazioni contenute nel World Value Survey negli anni che vanno da11990 al 2005, Navarra e Bavetta dimostrano che c’è una relazione diretta tra libertà (anche economica) e reddito pro capite delle popolazioni. Un grafico illustra come sta la situazione: alla confluenza degli assi, vicino allo zero, si ammassano le regioni meridionali; dall’altra parte quelle centrali e settentrionali.
Dunque: più libertà e autonomia più reddito, meno autonomia e libertà meno reddito. Si potrebbe essere tentati di pensare il contrario (più reddito più libertà, meno reddito meno libertà) ma le argomentazioni degli economisti sono convincenti della prima tesi e da qui partono numerose diramazioni interessanti da seguire nel tentativo d’immaginare soluzioni efficaci per il rilancio del Paese e in particolare del Mezzogiorno. Qui, al Sud, la scarsa percezione di poter seguire il bene del proprio istinto e la convinzione radicata che per fare carriera occorra incappare nella fortuna o nel privilegio forma una classe di persone poco incline alla fiducia, che si affida all’intrapresa più per disperazione che per convinzione, che reclama l’intervento redistributore dello Stato accentuando i problemi dell’alta tassazione e della non ottimale allocazione delle risorse. In queste condizioni, i cittadini meridionali – che si atteggiano più propriamente a sudditi – vedono le differenze di retribuzione come vere e proprie manifestazioni d’ingiustizia sociale e reclamano un livellamento dei risultati che è tutt’altra cosa dall’uguaglianza delle opportunità che è tipica delle nazioni evolute e ricche. Sfiduciati, malinconici, litigiosi, poveri e con meno prospettive, i meridionali preferiscono mettersi in braccio allo Stato piuttosto che provvedere a se stessi.
Naturalmente si tratta di generalizzazioni, di medie che non negano l’esistenza di eccezioni. E, inoltre, il male di cui soffre il Sud nei confronti del Nord è lo stesso di cui soffre l’Italia intera nei confronti, per esempio, degli Stati Uniti dove la capacità degli individui di sentirsi protagonisti e responsabili del proprio destino è così forte da essere un vero e proprio costume nazionale indossato da tutti indistintamente. La strada per la libertà, che passa per una maggiore soddisfazione di se stessi, una più spiccata propensione al rischio d’impresa e una speculare minore richiesta di garanzie, s’imbocca al casello del merito. Sì, il portale per la riscossa si chiama proprio così: merito. Il riconoscimento del quale come misuratore delle fortune individuali toglierebbe alibi agli incapaci e agli scansafatiche che oggi hanno la meglio. È chiaro ed evidente che una simile rivoluzione, di stampo liberale, dovrebbe partire dalla politica. Ma se questa dorme e non è in grado di riformarsi e non seleziona il meglio al proprio interno, come pare accada da molto tempo, dovranno essere gli uomini e le donne di buona volontà (i liberi e forti di Luigi Sturzo?) a invertire la rotta dimostrando attraverso “comportamenti esemplari” che l’impegno paga, che l’innovazione è la chiave del progresso, che il talento non va sprecato. Più libertà d’azione e riconoscimento del merito produrranno quel capitale sociale che sarà in grado di dare valore al capitale umano e al capitale strumentale che pure vanno rinforzati – il primo con le competenze, il secondo con gli investimenti – in una virtuosa combinazione di fattori che dovrà togliere il Sud dalla sua atavica arretratezza e povertà relativa. Difficile? Sì, molto. Ma, almeno, è una linea di condotta che altrove ha portato al successo.

di Alfonso Ruffo

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