Israele e le radici smarrite dell’Occidente (linformale.eu)

di Davide Cavaliere, del 12 Aprile 2022

Renato Cristin, docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste e gradito ospite de L’Informale, dopo aver analizzato, nel saggio I padroni del caos, quei poteri che definisce «eterogenei ma convergenti» intenti a disgregare la civiltà occidentale, mette ora nelle mani del lettore un libro nel quale individua dei sentieri da percorrere per insufflare nuova vitalità all’Occidente.  

Il testo s’intitola Quadrante Occidentale ed è edito da Rubbettino, la casa editrice di Soveria Mannelli alla quale dobbiamo la pubblicazione dei classici del pensiero liberale. Il titolo, così «cartografico», fa riferimento all’Occidente proprio come a uno «spazio circoscritto» all’interno del quale è possibile delineare un «Occidente categorematico», ossia individuato nella sua essenza storica, e un «Occidente sincategorematico», dunque «potenziale» in senso aristotelico.  

L’autore è convinto che la nostra civiltà si collochi in un orizzonte che permette di pensare le suddette dimensioni sia unitariamente che separatamente, che consente di profilare l’Occidente «come uno spazio complesso, stratificato secondo storia e orientato secondo telos (strutturato cioè in base alla sedimentazione della tradizione e proiettato in vista dello sviluppo delle sue finalità), interpretabile nella sua forma attuale e progettabile in quella potenziale».  

La civiltà occidentale, insomma, non è tramontata né condannata al declino, ma è ancora pienamente in fieri. La questione centrale del libro è decidere se vogliamo difendere certi tratti fondamentali dell’Occidente, come sono venuti a configurarsi storicamente, e soprattutto come vogliamo ridefinire la nozione stessa di Occidente in modo positivo.  

Il prof. Cristin, da rigoroso discepolo di Platone, non si limita a una mera difesa del passato, che contiene anche le premesse intellettuali che hanno prodotto i disastri del presente, ma opera qualcosa di più profondo, ovvero un «superamento proiettivo» della modernità, al fine di «rigenerare l’Occidente a partire dalla sua tradizione e dalla sua identità, nella quale anche la modernità stessa ha il suo posto rilevante».  

In questo tentativo di ripensare l’Ovest, lo Stato di Israele, definito «ultima nazione d’Occidente», viene individuato come paradigma da imitare per la rinascita della civiltà fondata su Atene e Gerusalemme. Lo Stato ebraico possiede tutti «gli elementi necessari a reggere l’urto delle vecchie e nuove spinte destabilizzanti». Cristin formula un efficace elenco degli elementi che fanno d’Israele il modello: «salvaguardia dell’identità e rispetto della tradizione, religione inclusa; efficacia nelle relazioni economiche; impulso alla ricerca scientifica e tecnologica in tutti i settori; volontà di autoaffermazione e capacità di autodifesa; tollerare gli sgarbi ma non lasciare impuniti gli attacchi; memoria e innovazione; consapevolezza della propria storia e determinazione nell’agire; religio intesa come quel legame originario e sempre rinnovato con Dio e con il popolo; senso del sacro e pragmatismo insieme; abilità diplomatica e chiarezza di intenti; sovranismo nazionale e amor di patria come fondamento della propria esistenza statuale».  

Ecce Israele. Per l’autore lo Stato ebraico «vive nella verità secondo la tesi di Platone», che invita a prediligere alétheia all’amicizia. Gerusalemme è strettamente alleata di Washington, ma pur di difendere la propria verità, ovverosia la propria esistenza e libertà, è disposta ad agire anche senza l’approvazione dell’amico-alleato.  

Il sillogismo evocato dal prof. Cristin è impeccabile e adamantino: «E poiché la verità è per Israele il principio d’esistenza, difendendo se stesso Israele difende la verità; e poiché difendere la verità significa vivere nella libertà, proteggendo se stesso Israele tutela la propria libertà». Al contrario, il resto dell’Occidente si colloca fuori da questo schema, perché ha reciso il proprio legame con verità e libertà. La civiltà occidentale ha smarrito la propria dimensione metapolitica, per questa ragione è in piena crisi di legittimità.  

Israele è riuscito a congiungere le dimensioni richiamate all’inizio: la sostanza storica e la potenza concettuale, sfuggendo così «all’oblio dell’origine e, anzi, ha fatto dell’originario la rampa di lancio con cui il presente viene difeso e proiettato nel futuro».  

L’abbandono, termine impiegato da Fiamma Nirenstein e richiamato nel saggio in questione, di Israele da parte dell’Europa è una delle forme di quel generale commiato che il Vecchio continente sta prendendo dalle sue radici filosofiche e spirituali, che determina la crescita della «israelofobia». Il quadro che ne emerge è a tinte estremamente fosche: «Oggi in Occidente circolano indisturbatamente definizioni quali imperialismo israeliano, complotto sionista mondiale, sionisti come nazisti e altre nefandezze simili, che pongono un serio problema non solo politico ma anche culturale».  

L’antisionismo, dunque, è un sintomo di quell’odio di sé che sta divorando la civiltà occidentale. Per l’autore esiste un vero e proprio complesso di Israele, un senso d’inferiorità che sfocia in violenza politica e ideologica.  

Scritto in una lingua limpida e di rara chiarezza, Quadrante Occidentale è una intelligente e profonda analisi della «crisi» dell’Occidente e, al tempo stesso, un manuale di autodifesa e per l’azione. Un libro che invita il lettore a guardare a Israele, sul quale pesano ancora troppi pregiudizi, come a un faro; esso è l’arca dentro la quale si trova, gelosamente custodita, la migliore eredità dell’Europa.