Per salvare Roma dal disastro serve un modello ispirato ad Albertini (linkiesta.it)

di Francesco Delzio, del 10 Febbraio 2021

Francesco Delzio

Liberare Roma

Come ricostruire il “sogno” della Città Eterna

Novembre 2010. La Repubblica titola: “Roma, il sorpasso in corsa su Milano. PIL e qualità della vita crescono di più”. Lo statement del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari è basato su dati oggettivi, incontrovertibili. Uno per tutti: tra il 1995 e il 2007 Roma ha fatto un balzo in avanti impressionante in termini di crescita economica, passando dal 20° al 6° posto nella graduatoria delle province italiane per pil pro capite.

Rileggere oggi queste pagine, nella Capitale, desta una notevole inquietudine. Perché mentre Roma si è avvitata nell’ultimo decennio in una “crisi continua”, Milano ha spiccato il volo. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Milano di Assolombarda (novembre 2019), nell’ultimo quinquennio il pil di Milano è cresciuto del 9,7% – il doppio della media italiana del periodo, pari al 4,6% – e oggi si colloca sopra i livelli precrisi del 6,4%, mentre la media nazionale soffre ancora di un divario negativo pari al -3,3%. Inoltre la ripresa del mercato del lavoro negli ultimi quattro anni si è riflessa in una progressiva discesa della disoccupazione totale – al 6,4% nel 2018 – contro una media nazionale ancora a doppia cifra (10,8%).

E così – oggi – non c’è più derby Roma-Milano sul piano economico: troppo netto il divario a favore dei meneghini. Il reddito pro capite è di circa 47 mila euro a Milano e di 32 mila euro a Roma (dati 2017). Anche i depositi bancari pro capite segnano una netta differenza: 57 mila euro a Milano contro 43 mila euro a Roma. E il tasso di occupazione segue lo stesso andamento, con un tasso del 70% a Milano e del 64% a Roma.

Roma e Milano sono in realtà «gemelli molto diversi», secondo la definizione coniata da Federico Babbi e Carlo Scarpa su lavoce.info: non sono paragonabili né per estensione e caratteristiche del territorio né per numero di abitanti, ma sono anche gestite in maniera radicalmente diversa. Roma ha una superficie complessiva superiore di 7 volte a quella di Milano ed è caratterizzata da una presenza all’interno del territorio comunale di vaste aree di campagna: non a caso Roma gode di molti più spazi adibiti al verde, il 36% della superficie totale, mentre a Milano sono solo il 13%. Roma ha 2,87 milioni di abitanti contro gli 1,35 di Milano, ma è meno densamente popolata: in ogni chilometro quadrato a Milano troviamo 7.439 abitanti, mentre a Roma 2.232. E tuttavia sarebbe fuorviante spiegare le differenze di performance tra Roma e Milano soltanto sulla base di caratteristiche “naturali”.

Tutti gli indicatori relativi ai servizi pubblici locali – proprio tutti, anche quelli qualitativi che non sono influenzati dall’estensione del territorio o dalla numerosità della popolazione – mostrano due mondi radicalmente diversi. A svantaggio della Capitale.

Nel trasporto pubblico locale, l’indicatore più conosciuto è l’estensione della metropolitana: Milano vanta una rete della metropolitana quasi doppia rispetto alla Capitale (98 km contro 54 km). Doppio è anche il numero di posti per km offerti da Milano rispetto a Roma su bus, tram e metropolitane, in rapporto alla popolazione. E anche per quanto riguarda la qualità del trasporto, l’età media dei bus di Roma (12,6 anni) è doppia rispetto a quella di Milano.

Diventa addirittura triplo – sempre a vantaggio di Milano – il numero di fermate di bus e tram per km quadrato, che fotografa la capillarità del servizio, ed è più che tripla a Milano l’estensione delle piste ciclabili, un servizio che pure sarebbe teoricamente più fruibile a Roma (grazie al clima mite): il capoluogo lombardo presenta un valore di 4,12 metri di piste ciclabili ogni 100 abitanti, rispetto agli 1,27 metri di Roma.

Il confronto tra Roma e Milano appare impari anche sul fronte dell’altro servizio municipale per antonomasia: l’igiene urbana. Roma batte Milano, favorita da condizioni naturali e da una minore presenza dell’industria, solo per qualità dell’aria: il limite ammesso di polveri sottili presenti nell’aria è stato superato a Roma solo in 13 giorni nel 2017, per ben 90 volte invece a Milano.

Non è un elemento marginale: è sempre più pesante il fardello di malattie che l’inquinamento da smog determina direttamente, o comunque rende più gravi. Nella comunità scientifica internazionale, peraltro, è sempre più diffusa la convinzione che vi sia un nesso molto forte tra la pessima qualità dell’aria e la maggior diffusione del Covid-19 nell’area lombarda.

Ma su tutti gli altri fronti relativi alla tutela dell’ambiente e alla pulizia della città, che dipendono dalla capacità gestionale, non c’è partita: la raccolta differenziata riguarda il 65% del totale dei rifiuti a Milano e solamente il 45% a Roma. È un divario che corrisponde a una dotazione di impianti per trattamento e smaltimento dei rifiuti molto diversa tra le due città e perfino a una percentuale di incassi dei tributi per la gestione dei rifiuti non comparabile: in quest’ultimo caso, da un confronto su base regionale – ma la situazione è in linea con quella di Roma – risulta che nelle casse dei Comuni del Lazio mancano all’appello 120 euro per abitante (nel 2017), mentre soltanto 5 euro per abitante vengono a mancare in Lombardia.

Ma perché non c’è più partita tra Roma e Milano, oggi? E a cosa si deve una rinascita così impetuosa e strutturale di Milano? La ragione è fondamentalmente una: la “managerializzazione” del capoluogo lombardo. Milano ancor oggi sta costruendo le sue fortune su un modello innovativo di partnership tra pubblico e privato, che per primo Gabriele Albertini incarnò con il suo profilo personale e riuscì concretamente a mettere a terra a partire dal 1997. Un modello capace di innescare un’onda lunga di sviluppo, una sequenza virtuosa in cui ogni fase di crescita ha generato quella successiva.

Si fa l’Expo a Milano? L’Expo porta infrastrutture e terreni da riqualificare. Quelle infrastrutture e quei terreni dopo l’Expo restano e portano nuovi progetti, come Humane Technopole, che attraggono capitale umano qualificato e, ancora, nuove infrastrutture e nuovi progetti. In questo modo Milano si pone nelle condizioni ideali per candidarsi alle Olimpiadi invernali, vincendo la competizione globale, e per strappare a Torino il Salone del Libro.

Negli ultimi anni (vicenda Covid a parte) Milano è diventata un’idrovora, capace di attrarre a sé gran parte dell’acqua disponibile nel bacino Paese e di lasciare a secco tutto il resto d’ Italia, a partire da Roma. È lo stesso modello di cui avrebbe disperato bisogno oggi Roma, per ripartire. Ma è un modello realizzabile solo a una condizione: che i partiti capiscano che è giunto il momento di fare un passo indietro, creando le condizioni perché la parte migliore della società romana possa impegnarsi nella “ricostruzione” della sua città.

«La politica è estenuata e non credo possa offrire a Roma le sorprese di cui ha bisogno», sostiene la star dell’architettura globale Massimiliano Fuksas, secondo cui «la città deve funzionare e il Sindaco dev’essere il manager dei 3 milioni e mezzo di city users». Verissimo. Da almeno 15 anni i partiti mostrano nella Capitale il volto peggiore di sé: il fallimento nella gestione dei servizi pubblici locali, la mancanza di visione strategica e di qualsiasi progetto di sviluppo proiettato al di là del presente, l’incapacità di guidare la macchina amministrativa, la disconnessione profonda con il sentire e i bisogni reali dei cittadini, la contiguità al malaffare accertata da numerose inchieste giudiziarie e giornalistiche.

Ed esasperata da tutto ciò, la gran parte dei cittadini di Roma – molto più degli abitanti delle altre grandi città italiane – rifiuta radicalmente, oggi, non solo la vecchia politica, ma anche un intero establishment che si è consumato nei fallimenti della città, in grandi e piccole convenienze personali a discapito dell’interesse generale, in comportamenti opachi. Perché un Piano Strategico per Roma sia credibile agli occhi dei cittadini romani, dunque, è indispensabile che sia messo in pratica da interpreti nuovi.

La politica dei partiti a Roma ha fallito troppe volte per poter riprovare. L’unica strada per rinascere oggi è quella di chiamare a raccolta le forze migliori della società, le competenze manageriali e le esperienze di successo per riallineare Roma alle best practises nazionali e internazionali.

Dopo la disastrosa esperienza gestionale della Giunta attuale, Roma ha un tremendo bisogno di una rivoluzione fatta di progetti ambiziosi di sviluppo, di innovazione al servizio dei cittadini, di efficienza della macchina amministrativa e di investimenti sulla qualità della vita.

Per restituire a Roma e ai romani – nei prossimi anni – il ruolo che meritano in Italia, in Europa e nel mondo, ma soprattutto l’orgoglio di vivere nella città più bella del mondo e la speranza di un futuro migliore per i loro figli.

Applicare il “modello Albertini” vorrebbe dire portare nella Capitale meccanismi di finanziamento che possono essere considerati innovativi per Roma, ma sono assolutamente consolidati: partnership pubblico-privato, finanza di progetto, concessioni.

Meccanismi che potrebbero avere particolare successo, qui più che altrove: gli asset di Roma sono talmente pregiati e il suo mercato potenziale è talmente vasto, che sarebbe sufficiente eliminare il famigerato “rischio regolatorio” – ossia il rischio che un qualsiasi burocrate cambi la prassi in corsa o che la conclusione di un iter autorizzativo arrivi dopo decenni – perché possano atterrare copiosi gli investimenti privati.

La Capitale ha oggi assoluto e urgente bisogno di una rivoluzione di questo tipo, anche sotto il profilo della (in) sostenibilità dei suoi conti.

Fa impressione il confronto dei bilanci tra le grandi città italiane, da cui risulta (dati 2018) che la spesa pro capite per investimenti da parte di Roma Capitale è di circa 167 euro, contro i quasi 1.500 di Firenze e i quasi 1.600 di Milano. E nel post-pandemia il divario rischia di allargarsi ulteriormente: è stato stimato che la crisi economica causata dall’impatto del virus possa determinare nel 2021 una perdita di base fiscale per le città tra il 15% e il 25%, con conseguenze nefaste su welfare e trasporto pubblico locale.

A causa della struttura economica fondata sul terziario, è prevedibile che la perdita per Roma si collochi nella parte peggiore della forbice.

«Dal nuovo Sindaco dobbiamo pretendere sia una grande competenza di amministrazione e di governo, sia un autorevole spessore intellettuale per individuare una progettualità per il futuro della Capitale, finalmente ambiziosa», secondo Angelo Camilli, presidente di Unindustria.

«Ma chi mai oggi vorrebbe governare Roma nello stato in cui è? Con la burocrazia impatanata, le municipalizzate al collasso, il debito alle stelle, l’inchiesta giudiziaria sullo stadio, la rabbia e la protesta pronte ad esplodere a ogni piè sospinto?», si chiede con amarezza il presidente dell’associazione dei costruttori romani Nicolò Rebecchini, che ritiene quindi fondamentale «un grande patto di sistema che coinvolga i partiti, le imprese, i sindacati, tutti gli attori politici, sociali ed economici di Roma, compresa la magistratura».

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