Aldo Moro nella tela del Kgb (Il Sole 24 ore)

del 25 Giugno 2013

Da Il Sole 24 ore del 23 giugno 2013

Una traccia esile ma interessante questa che ci offre Rocco Turi in questa sua Storia segreta del Pci che ha per sottotitolo, «Dai partigiani al caso Moro». La parte sui partigiani è sufficientemente documentata. Questi sono i militanti comunisti che ripararono in Cecoslovacchia per sfuggire alle inchieste della magistratura per i reati da loro perpetuati durante e dopo la Liberazione.

In gran parte provenivano dal triangolo rosso (vicende su cui oggi la letteratura non manca) e d’altre parti, tra cui, ad esempio, quel Mario Toffanin, il responsabile dell’eccidio di Porzus. In Cecoslovacchia passarono sotto l’egida de Kgb. Dai documenti raccolti da Turi si evince che furono addetti a scuole di sabotaggio, la più importante la Politicka Skola Soundruha Synka, e alla Radio oggi, trasmittente in Italia da Praga, sotto la direzione di Francesco Moranino, poi di altri. Abbiamo tracce di documentazione che la scuola continuò a essere alimentata dall’Italia di nuovi quadri fino agli anni 70.

Era inizialmente una struttura di supporto dell’apparato militare del Pci gestito da Secchia che, smantellato questo nei primi anni 50, dovette poi dedicarsi ad azioni di spionaggio e intelligence. Dell’apparato Secchia abbiamo carte copiose, italiane e americane, niente però dall’archivio del Pci. Sappiamo da Massimo Caprara che nel 1947 Togliatti impedì che si archiviasse la relazione fatta alla direzione comunista da Luigi Longo ed Eugenio Reale sulla riunione del Commintern a Szklarska Poreba in Polonia, dove i sovietici avevano sollecitato francesi e italiani a orientarsi verso l’ipotesi insurrezionale. Dai documenti sovietici, emerge che Stalin teneva parallelamente in piedi le due ipotesi contrapposte: quelle di Secchia e di Togliatti. Con il ’52 la scelta ultima e definitiva fu per Togliatti e la sua linea del “nuovo corso”, dopo la drammatica visita di quest’ultimo a Mosca.

Quella di Praga rimase una struttura parallela all’organizzazione del partito comunista, direttamente gestita dai sovietici. Canalizzava anche i finanziamenti di Mosca al Pci che continuarono fino agli anni 80. Ne abbiamo una testimonianza indiretta, ma incontrovertibile, da Giovanni Cervetti, succeduto a Cossutta negli anni 70 a sovraintendente delle finanze del Pci. Di questa struttura, soprattutto dell’influenza che poteva avere sul partito (ad esempio i sovietici la usarono in Spagna per emarginare il segretario eurocomunista Santiago Carillo), sappiamo assai poco. Così come non abbiamo un solo libro sull’azione del Kgb in Italia, mentre per altri paesi europei e della Nato interi scaffali. Turi ha documentato la sua storia alle origini, anni 40 e 50. Poi corre in avanti su testimonianze orali raccolte in Cecoslovacchia, che storiograficamente hanno relativa valore probatorio, ma costituiscono un’ipotesi di lavoro interessante. I rapporti delle BR con la Cecoslovacchia sono noti fin dalle loro origini e segnalati anche per il loro addestramento in concomitanza col caso Moro. Turi sostiene che le prime BR di Curcio, ebbero rapporti, ma non di dipendenza con gli apparati sovietici. Fu Mario Moretti, dopo il ’74, a stabilire un rapporto organico. Con lui le BR sarebbero diventate il braccio terroristico in Italia della centrale di intelligence cecoslovacca e il rapimento di Moro non può prescindere da questo nesso (una testimonianza di Luigi Cardullo, direttore dell’Asinara, dalle intercettazioni telefoniche dei brigatisti detenuti, ci dice che essi parlavano in codice del “vecio” che era Vittorio Vidali, notissimo agente triestino del Comintern, allora in pensione come deputato del Pci e soprattutto come colonnello del Kgb). La matrice sovietica nel “caso Moro” sarebbe preminente. Nelle convulse ricerche del “covo” le autorità italiane si scontrarono con un intreccio complicato di convivenze tra servizi italiani, infiltrati da sovietici e americani. Questi ultimi, estranei al rapimento, non avevano alcuna motivazione a liberare Moro, avendo ragioni parallele per trarre profitto da quell’evento. Da parte sovietica si trattava di una netta opposizione all’eventualità che il Pci entrasse nel governo, essendo l’Italia un paese della Nato, per il contraccolpo che questo avrebbe causato sui paesi dell’Est europeo, già in equilibrio precario, preoccupazione questa ritenuta storicamente più che certa.

È singolare come questa tesi del Turi corrisponda a quella espressa dall’onorevole Francesco Mazzola, che da sottosegretario con delega ai servizi di intelligence italiani scrisse un libro, che Turi non mostra di conoscere, intitolato I giorni del diluvio. Improprio usare la formula che “ogni riferimento è meramente casuale”. Questa è una tesi sul “caso Moro” che per la sua natura indiziaria possiamo assumere solo come ipotesi. Ma perché non assumerla come fondata almeno ai fini della ricerca storica, dal momento che gli indizi non mancano? La tesi ufficiale è che il delitto Moro non ha mandanti esterni ed è opera esclusiva delle BR. Ci sono lavori, confezionati ad hoc, che la difendono con acribia. Buoni lavori storiografici sul caso Moro, come quelli di Agostino Giovagnoli e di Michele Gotor, prescindono invece dal porsi interrogativi sui possibili mandanti Il “caso Moro” non è così solo un mistero, ma è diventato un tabù italiano.

Di Piero Craveri

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