Cammino, penso quindi racconto. Francesco Bevilacqua, e il senso fisico della “viandanza” in “Sulle tracce di Norman Douglas” (Il Quotidiano della Calabria)

di Claudio Cavaliere, del 20 Luglio 2012

Da Il Quotidiano della Calabria – 20 luglio 2012
Colpisce, nel libro, la capacità di penetrare nella personalità della natura calabrese con una resa letteraria dei suoi pensieri pienamente compiuta

In fondo, appena nati, due sono le nostre principali aspirazioni: camminare per esplorare il mondo che ci circonda e articolare la parola per comunicare. Col tempo, generalmente, finiamo per chiacchierare molto e camminare poco. La viandanza verbale soverchia largamente la viandanza fisica: le parole ci riempiono le orecchie impedendoci di vedere ed ascoltare altro, così che definiamo silenzio tutto ciò che è privo di parole. D’altro lato in qualunque posto ti trovi, una delle domande più usuali che oramai si riceve è: «Ci si arriva in macchina?»
Eppure il camminare per conoscere è un’esperienza universale ed eterna del genere umano. Il camminare, non il viaggiare passivamente, il camminare nell’eccezione così ben definita da Thoreau nel suo Walden: “I travelled a lot in Concord», ho viaggiato molto a Concord, ho esplorato una enormità girando per il centro urbano di questo paese che merita l’appellativo di “villaggio”. Ritengo giusto che Rubbettino abbia inserito nella sua bella collana “Viaggio in Calabria” l’ultimo libro di Francesco Bevilacqua “Sulle tracce di Norman Douglas – Avventure fra le montagne della vecchia Calabria” (Rubbettino, pp. 285, euro 7,90) ponendolo al pari dei classici.

Francesco Bevilacqua appartiene agli scrittori seriali, quelli che si attaccano ad un personaggio e ne reiterano, scavando sempre più in fondo, le vicende. Nel suo caso il personaggio è la Calabria e la bellezza delle sue montagne colta nella sua esperienza di infaticabile camminatore. Dopo trenta anni di escursionismo Bevilacqua guarda alla natura calabrese in un modo che non sembra avere limiti di profondità, con uno sguardo partecipe. A spalancare la prospettiva per il lettore è il modo originale dell’approccio, la grana del linguaggio colto, ma soprattutto empatico con i luoghi.

Quelle di Bevilacqua sono sempre descrizioni emozionali che diventano geografie morali, con concatenazioni letterarie ardite ma sapientemente impastate per dare al lettore il senso della profondità del suo ragionamento, l’aggancio a solide ed antiche motivazioni.

La mia opinione è che dopo sedici pubblicazioni questo – ma anche il precedente Genius loci, il dio dei luoghi perduti (Rubbettino 2010) – siano i libri della sua maturità. Ho colto nella sua prima produzione una sorta di paura a non riuscire a trovare le parole, le “sue” parole per trasmettere le sensazioni, le emozioni, i ragionamenti. Così, nel passato, ha fatto parlare sovente i viaggiatori stranieri, molte volte le citazioni sono sembrate eccessive. In questo invece ciò che colpisce è la capacità di penetrare nella personalità della natura calabrese con una resa letteraria dei suoi pensieri pienamente compiuta, intima, capace di offrirsi al lettore senza vergogne nei suoi pensieri più nascosti, a partire dalle sue cefalee quotidiane, dalle sue albe insonni. In fondo è come se ci dicesse: “se il viaggio non ti modifica, se non sei disposto al cambiamento, ad una rilettura di te stesso in ogni escursione, forse non è il caso». Il richiamo a Norman Douglas, cui dedica tutta la bellissima prima parte del libro, è anche l’occasione ben costruita di offrirci finalmente la sua più accurata e comprensibile metodologia del camminare, il “viaggiar restando”, una metodologia che viene sostenuta e resa ulteriormente intellegibile da una intrigante titolazione dei capitoli e paragrafi. Ma affiora prepotente il camminare come impegno civico che lo porta da un lato alla ricerca della condivisione dello stupore come elemento in grado di salvaguardare i luoghi; dall’altro ad essere sovente osservatore disincantato della diffusa inciviltà calabrese, cui lancia strali critici per comportamenti che non hanno alcuna giustificazione storica né antropologica. Pollino, Sila, Serre ed Aspromonte. Valloni, fiumare, cascate, creste e boschi. Tutto rigorosamente made in Calabria il che spesso fa pensare qual è la vera Calabria, quella della bellezza assoluta dei posti descritti o quella del degrado altrettanto assoluto della costa e dei manufatti umani? Insomma, al pari del precedente questo libro è una vera delizia che inconsapevolmente arriva quasi a smentire Borges: “La musica, gli stati di felicità, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi, vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dire qualcosa; quest’imminenza di una rivelazione che non si produce, è, forse, il fatto estetico».

Per Bevilacqua questa rivelazione può invece prodursi. Spetta soprattutto a noi. Usa i piedi per scrivere Bevilacqua confermando l’ipotesi che il cammino è una filosofia e colui che cammina sa anche ben raccontare.

Di Claudio Cavaliere

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