Il vero Patto d’acciaio era tra Mosca e Berlino (Il Giornale)

del 30 Aprile 2013

Da Il Giornale del 30 aprile 2013

Fu possibile individuare la cifra politica autentica del ‘900? Pensiamo che si debba rispondere di sì indicandola nella radicale contrapposizione fra la liberaldemocrazia e i suoi nemici. Ne abbiamo ora un’ulteriore prova con i risultati di un’importante ricerca storiografica sulla seconda guerra mondiale: Eugenio Di Rienzo, Emilio Gin, Le potenze dell’asse e l’Unione Sovietica 1939-1945 (Rubbettino, pagg. 514, euro 19). Si tratta di un tassello significativo a sostegno di questa interpretazione. Gli autori ritengono insoddisfacente il paradigma che vede nella lotta tra fascismo e antifascismo la verità ultima del secondo conflitto mondiale. In realtà lo sconto tra fascismo e antifascismo fu meno univoco di quanto si pensi perché fino all’ autunno 1940 il vero Patto d’Acciaio non fu quello tra Roma e Berlino ma quello tra Berlino eMosca; un accordo, questo, che avrebbe dovuto trasformarsi «in una “Coalizione planetaria” destinata a comprendere anche Italia e Giappone volta a distruggere il predominio mondiale anglo- americano». Tale coalizione doveva stringere in un’unica morsa l’Europa, l’Asia, l’Africa, dall’Atlantico al Pacifico, generando una granitica intesa militare contro l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Insomma, un blocco euroasiatico centrato sull’ alleanza fra il nazionalsocialismo e il bolscevismo contro il nemico comune: la società capitalistico borghese fondata sull’ethos individualista. Se questa prospettiva politico-militare non si concretizzò fu perché le frizioni russo -tedesche nei Balcani, l’eroica resistenza della Gran Bretagna e la possibilità di un imminente intervento degli StatiUniti fecero temere ad Hitler che il Reich si sarebbe trovato nuovamente costretto a combattere un conflitto su due fronti, come era accaduto nella prima guerra mondiale. Di qui l’invasione dell’Urss con lo scopo di ridimensionarne la potenza, senza giungere però alla sua eliminazione. Una volta che la potenza comunista fosse stata ridimensionata, Stalin sarebbe stato costretto a trattare da posizioni di debolezza e l’Urss sarebbe rientrata nello schieramento euroasiatico. In effetti, anche quando, nel giugno 1941, prese avvio l’Operazione Barbarossa, i rapporti segreti tra l’Urss e l’Asse non vennero meno; rapporti che, grazie alla mediazione del Giappone e dell’Italia,  continuarono fino alla fine del 1944. Relazioni che videro quali protagonisti personaggi come Himmler e Goebbels e alti ufficiali della Wehrmacht. Lo scopo era quello di giungere ad una pace di compromesso. A sostegno di questa tesi Eugenio Di Rienzo ed Emilio Gin portano una vasta ed inedita documentazione archivistica, reperita negli archivi diplomatici britannici, francesi, statunitensi, italiani, tedeschi, giapponesi; essa è incrociata con continui e puntuali riscontri bibliografici. Fonti che sono esaminate con grande acribia filologica e con uno smaliziato metodo di lettura diretto a interpretare sia ciò che è esplicito, sia ciò che è implicito perché, si sa, l’attività diplomatica è sempre enigmatica nei mezzi e nei fini. In conclusione, Di Rienzo e Gin rovesciano la vulgata che ha voluto vedere nel patto di non aggressione Ribbentropp-Molotov dell’agosto 1939 un momentaneo compromesso con il quale il Cremlino avrebbe cercato di guadagnare quel tempo necessario per prepararsi adeguatamente allo scontro con il Moloch nazista. Ferma restando, ovviamente, la divisione radicale tra comunismo e nazifascismo, è esistita per Di Rienzo e Gin anche un’altra irriducibile dicotomia, espressa dalla logica implacabile della Realpolitik, del tutto indifferente alle codificazioni ideologiche. Rapporti dominati sempre da una volontà di potenza di carattere eminentemente geopolitico. Dal volume di Di Rienzo e Gin si ricava, ancora una volta, questa lezione: la storiografia, per natura, non può che essere revisionista, se per revisionismo s’intende il continuo esame dei giudizi precedenti a fronte delle nuove acquisizioni della ricerca.

Di Giampietro Berti

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