«Un osservatorio dello Svimez per studiare il South working» (corriere.it)

di Gabriele Bojano, del 27 Agosto 2020

Luca Bianchi, Antonio Fraschilla

Divario di cittadinanza

Un viaggio nella nuova questione meridionale

«Il South working? È un fenomeno interessante, da approfondire e studiare. Però bisogna creare prima le condizioni favorevoli perché possa diventare una reale condizione di rilancio per il Mezzogiorno». Il direttore dello Svimez, Luca Bianchi, ha letto l’altro giorno l’intervista sul Corriere del Mezzogiorno al sociologo Domenico De Masi a proposito del nuovo lavoro in modalità smart che sta ripopolando le regioni del Sud. E tanto per cominciare ci fornisce la prima notizia: «Nel rapporto Svimez che uscirà a fine ottobre-inizio novembre dedicheremo un capitolo proprio al south working».

De Masi è entusiasta, parla di una vera e propria manna per il Sud. Anche lei è convinto che questa soluzione emergenziale, nata in tempi di Covid-19, possa rappresentare quanto prima una modalità lavorativa alternativa e definitiva?

«Il punto più interessante, a mio avviso, è proprio questo, il South working ci pone di fronte a un tema nuovo, che non è più quello di offrire le migliori condizioni per la localizzazione delle imprese bensì per l’attrazione delle persone».

Mi sembra che questo sia un tema affrontato nel suo ultimo libro, Divario di cittadinanza. Un viaggio nella nuova questione meridionale, scritto con Antonio Fraschilla ed edito da Rubbettino.

«Proprio così, la nuova questione meridionale consiste in un problema di divario dell’offerta di qualità di servizi pubblici sul territorio».

Si riferisce in particolare al digital divide?

«Bisogna offrire servizi digitali elevati ma non solo. Penso anche alla mobilità, alle infrastrutture, alla scuola, siamo di fronte a un nuovo modello di sviluppo e la politica dovrebbe farsi carico di offrire queste opportunità ai cittadini del Sud utilizzando le risorse disponibili per fare investimenti. A partire dalla digitalizzazione».

Il south working come occasione dunque per ridimensionare il divario territoriale, economico e sociale tra Nord e Sud?

«Penso proprio di sì, se riusciamo ad approfittare dell’emergenza Covid per costruire reti, rafforzando quelle che collegano i territori, reti di conoscenza, reti digitali, reti infrastrutturali, in modo che non ci sia una sola forza centripeta che attrae solo i grandi centri del Nord».

A proposito di grandi centri del Nord, qualcuno paventa lo spopolamento di città come Milano qualora il south working prendesse piede in maniera massiccia. Che ne pensa?

«La mia preoccupazione vera è l’emigrazione dal Sud, il processo di invecchiamento della popolazione. Le città del Nord crescono e quelle del Sud si svuotano. Bisogna assicurare uno sviluppo più equilibrato dal punto di vista demografico».

«Il lavoro a distanza deve essere supportato anche da interventi pubblici, attraverso i comuni che mettono a disposizione aree attrezzate di co-working in modo da rendere lo sviluppo oltre che più equilibrato anche più sostenibile e sociale».

Quante sono attualmente le persone in south working?

«È un dato che stiamo raccogliendo per il rapporto attraverso anche l’analisi degli accessi in rete. Diciamo che sono decine di migliaia gli studenti meridionali iscritti alle università del Nord così come sono decine di migliaia le persone in fase di stand-by, incerte se tornare nelle aziende settentrionali o restare nei territori di origine. È su di loro che bisogna lavorare».

Qual è l’obiettivo dello Svimez?

«Istituire un osservatorio con le università del Sud per dare una dimensione quantitativa al fenomeno e per vedere quali strumenti possono essere utili per favorire i processi di rientro».

Lei è in south working?

«No, però ci sto pensando».

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