Il “compagno Mussolini”, così manesco così intelligente (QN)

del 6 Novembre 2013

Da QN del 6 novembre 

Rimase zitto per i primi tre anni, e mamma Rosa e si preoccupava, dottore, non parla. Poi si è rifatto. E ha inchiodato amici e nemici alla sua oratoria incendiaria. Così Benito messo a nudo da Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca, “coppia anglo-romagnola”, come la definisce Vittorio Feltri nell’introduzione a “Il compagno Mussolini”, Rubbettino editore, in uscita oggi: 350 pagine, molta politica, molti testi inediti e molte donne. Un viaggio: dalla nascita a Predappio, sulle colline di Forlì, terra di sangiovese, a Roma.
Lo vediamo crescere. Il monello manesco diventa un giovane leader socialista, poi “processato” come voltagabbana «arvultaja», gli gridavano dietro i compagni romagnoli – quando si converte dalla neutralità all’interventismo sulla Prima guerra mondiale. «Il punto di svolta della mia vita», confidò poi Mussolini a un giornalista americano.
Il piccolo Benito è tipo da prendere a schiaffi, sempre in giro a rubare frutta o a nuotare nei torrenti. Povero e scalzo, selvaggio e pure manesco ma di intelligenza vivacissima.
E un attaccabrighe e impensierisce l’adorata mamma Rosa, maestra e devota credente. Cresce rivoluzionario e anarchico come il babbo Alessandro, fabbro, socialista testa calda. Però è un accanito lettore e a scuola, quando scrive, lascia tutti a bocca aperta. Il libro di Mazzuca e Farrell è anche una guida alla mostra sul «Giovane Mussolini», ospitata fino al 31 maggio a Predappio. E si chiude con una riflessione sulla continuità tra il socialismo di Benito e il suo fascismo. Prima e dopo, il nemico è la borghesia. Il “figlio di Muslin” si diploma maestro, poi si farà chiamare professore. Ma per la gente è anche ‘e mori’, il matto. Ha un rapporto speciale, protettivo, con Arnaldo, il fratello più piccolo, proprio il suo opposto, l’unica persona di cui si fidasse ciecaente. Parte per la Svizzera, senza un soldo. Sarà lavapiatti e giornalista. Il turo Duce gira per le strade di Forti a testa bassa, un cappellaccio nero in testa, il volto pallidissimo, non dà udienza a nessuno perché non ha tempo da perdere. Fa molti chilometri a piedi per andare in biblioteca, rincasa di notte per non incontrare gente. Diventa direttore della “Lotta di classe”. Verranno poi i tempi dell’ Avanti!” e del “Popolo d’Italia”.
NEL LIBRO trova molto spazio anche un capitolo inesauribile, quello su Benito e le donne. Mazzuca e Farrell svelano un segreto odioso, da ragazzo Mussolini stuprò una vicina. La prima musa, Angelica Balabanoff, ebrea russa, rivoluzionaria socialista, brutta e buona. Margherita Sarfatti, bella e avara, un amore che durò quasi vent’anni, la Vela nel linguaggio cifrato che doveva aggirare le ire di Rachele, la moglie. Benito giovane collezionò spose e maestrine, locandiere e scrittrici come Leda Rafanelli, che un giorno ebbe persino il coraggio di respingerlo. Ma il futuro Duce alla fine fu uomo d’ordine anche negli affetti. Dopo tanto turbinio la sintesi: «Solo tre donne contano, la madre la moglie l’amante».

Rita Bartotomei

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