Ecco perché è stupido odiare i ricchi (Il Giornale)

del 6 Novembre 2012

Da Il Giornale – 6 novembre 2012
L’inedito del grande economista liberale. Il risentimento verso imprenditori e capitalisti danneggia tutti e spalanca le porte agli abusi di potere

Pubblichiamo uno stralcio de “In nome dello Stato” (Rubbettino, pagg. 212, euro 12,90; prefazione di Lorenzo Infantino; traduzione di Enzo Grillo) del grande economista liberale Ludwig Von Mises (1881-1973). Il testo, inedito in Italia, dal punto di vista cronologico precede e segue di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Mises interpreta la ascesa di Hitler nel quadro dell’avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, tipica di tutti i membri della famiglia del totalitarismo. L’analisi storica quindi lascia il passo alla analisi della mentalità anticapitalistica. Ed è da questa parte del libro che preleviamo il capitolo offerto ai nostri lettori.

 

La riforma non deve cominciare dallo Stato, dal governo e dalla vita pubblica. Ciascuno deve cominciare da se stesso e deve essere il primo a liberarsi dal giogo del dogmatismo, che gli impedisce di usare liberamente le sue capacità mentali. Ogni singolo individuo deve sforzarsi di affrancarsi dalle frasi fatte e dalle formule che oggi considera verità intoccabili. Ogni singolo individuo deve riconquistare con un duro lavoro il diritto di poter dubitare di tutto, e di non riconoscere nessuna autorità che non sia quella del pensiero logico. Per conquistare questa libertà, occorre superare le inibizioni emotive che di solito offuscano il pensiero. Bisogna accantonare il risentimento e la presunzione.

Il mercato dell’ordine sociale capitalistico è democrazia dei consumatori. Gli acquirenti sono sovrani, e la loro domanda – o la mancata domanda – orienta i mezzi di produzione nelle mani di coloro che sanno impiegarli in maniera da soddisfare i desideri e le aspettative dei consumatori nel miglior modo possibile e al minor prezzo possibile. Che uno diventi più ricco e l’altro più povero è un risultato del comportamento dei consumatori. Non è il crudele consumatore a rovinare l’imprenditore poco capace, ma l’acquirente che compra dove viene servito meglio e a minor prezzo. Solo il consumatore domina nell’economia capitalistica. Gli imprenditori e i capitalisti sono i suoi servitori, la cui unica preoccupazione è quella di individuare i desideri del consumatore e cercare di soddisfarli con i mezzi disponibili. Imprenditori e capitalisti nascono da un ripetuto, quotidiano procedimento di scelta; essi possono perdere in ogni momento la loro ricchezza e la loro posizione preminente, se i consumatori smettono di essere loro clienti. È assurdo che il consumatore abbia invidia per la ricchezza delle persone che egli ha fatto ricche, perché ha preteso i loro servizi. Il consumatore danneggia se stesso quando chiede provvedimenti contro il «big business». Chi invidia la ricchezza del proprietario dei grandi magazzini, compri pure dove ottiene una merce più scadente pagandola di più.

Tutti oggi vogliono godere di più, consumare di più, sprecare magari di più e vivere meglio, ma poi invidiano il successo di coloro che hanno fatto del loro meglio per soddisfare questi loro desideri. Offende l’amor proprio e l’orgoglio del filisteo il fatto di dover ammettere – sia pure controvoglia – che altri sono stati più bravi a procurare tutti quei beni materiali che fanno ricca la vita esteriore. Lo umilia il fatto di essere riuscito a occupare nella competizione del mercato solo una posizione modesta. E allora, per rimuovere questo malumore, escogita una particolare giustificazione. Egli non è più incapace dell’imprenditore di successo, che si è arricchito; è solo una persona per bene, ed è più onesto di quei signori di gran successo, ma privi di scrupoli che hanno usato pratiche delinquenziali che egli, per rimanere onesto, ha sempre disprezzato. Insomma pensa il nostro fariseo – io sono bravo e capace quanto quelli che sono diventati ricchi; ma grazie a Dio sono moralmente migliore di loro, che sono il peggio, e sarebbe doveroso da parte dell’autorità punirli per le loro malefatte, sequestrando la loro ricchezza, illecitamente acquisita.

Se il governo procede contro i ricchi borghesi, può essere sicuro dell’applauso della massa. Questa è una cosa che tanto i demagoghi e i tiranni dell’antichità, quanto i satrapi, i califfi e i cadi d’Oriente e i dittatori di oggi hanno sempre saputo. Quando un governo non sa far diventare ricche le masse, allora è il caso di far diventare poveri i ricchi. Tutte le volte che il filosovietico occidentale si è visto costretto ad ammettere che nella Russia dominata da Lenin e da Stalin le masse vivevano in miseria, ha sempre giocato la sua ultima carta: sì, è vero, questi russi moriranno anche di fame e di stenti, ma sono più felici dei lavoratori occidentali, perché si sono presi la soddisfazione di vedere che gli ex «borghesi» russi se la passano peggio di loro. I francesi hanno preferito perdere una guerra anziché permettere agli imprenditori dell’industria bellica di fare profitti.

L’essenza del risentimento sta appunto in questo: essere prigionieri dei sentimenti di invidia, di vendetta e di gioia perversa per il male altrui, quantunque se ne riceva un danno per se stessi. Non meno funesti degli effetti del risentimento sono gli effetti della presunzione, che impedisce agli individui di ammettere il diritto altrui di interloquire. Come il risentimento, anche l’intolleranza che vuole imporre solo la propria volontà, e perciò invoca il dittatore affinché realizzi ciò che la propria volontà pretende, non è un segno di forza ma di debolezza e impotenza.

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