A tre anni dai fatti di Rosarno, Rubbettino pubblica “La guerra delle arance” di Fabio Mostaccio

del 9 Gennaio 2013

copertinaEsce il 23 gennaio in libreria, per Rubbettino, l’interessante libro-inchiesta di Fabio Mostaccio La guerra delle arance, con prefazione di Tonino Perna
 

Il 10 gennaio 2010 a Rosarno (RC) scoppiava il primo atto di una guerriglia urbana fatta di spari, cassonetti divelti, auto distrutte, abitazioni danneggiate. Alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni disumane in una vecchia fabbrica facevano scoppiare la dura protesta rispondendo così al ferimento di due loro connazionali da parte di ignoti. 

A distanza di tre anni la situazione esplosiva che ha portato ai fatti del gennaio 2010  non sembra essere cambiata. Oggi, il quotidiano “La Stampa” pubblica un lungo reportage (leggi qui) sulla situazione attuale in cui versano gli immigrati di Rosarno. Giuseppe Salvaggiuolo, inviato del quotidiano torinese, annota: “I due giganteschi dormitori nei ruderi delle fabbriche dismesse non esistono più da tre anni: uno chiuso d’imperio e abbandonato, l’altro demolito (…) Ma la nuova favela tra Rosarno e San Ferdinando è, se possibile, ancora più raccapricciante. Lamiere di eternit recuperate in qualche cimitero industriale (…) Come calcestruzzo uno spago di fortuna. Cumuli di terra pressata alti venti centimetri sorreggono i precari giacigli, pronti a inondarli di fango alla prima pioggia. I bagni sono in fondo a destra: due fosse larghe un metro scavate per quaranta centimetri nella terra, a cielo aperto e senza riparo alcuno.”

La situazione inumana in cui vivono i raccoglitori di arance di Rosarno non è però di certo un unicum in Italia (vi sono bombe sociali pronte ad esplodere nella piana di Siracusa, a Nardò ecc.) e per comprenderla non si può solo fare riferimento all’onnipresente ‘ndrangheta che pur avendo un ruolo importante nella vicenda non rappresenta di certo l’unico fattore. Bisogna allargare lo sguardo, come fa Fabio Mostaccio in questo libro, e inserire la piana di Gioia Tauro nel contesto del mercato agricolo mondiale. 

Ecco come riassume, nella prefazione, i termini della questione il prof. Tonino Perna:

“Negli ultimi dieci anni le arance della piana di Gioia Tauro sono state pagate tra 8 e 12 centesimi di euro al kg. In termini di prezzi relativi meno che negli anni ’60 del secolo scorso. Pochi produttori sono riusciti a trovare canali di vendita diretti per prodotti di qualità biologica certificata e ricavarne 25-30 centesimi al kg con cui coprire i costi. Ma la stragrande maggioranza di piccoli e medi produttori sono costretti a vendere alla grande distribuzione per 8 centesimi al kg, che non coprono assolutamente i costi della manutenzione dei terreni, della potatura, dei concimi e della raccolta. Ed è proprio sulla raccolta delle arance che si tende a risparmiare al massimo, spremendo la manodopera africana fino a livelli insostenibili: 20 euro al giorno per una giornata di lavoro che dura dall’alba al tramonto. Niente contratti, assicurazione infortuni, diritti minimi per questi lavoratori, l’anello più debole di un girone infernale di sfruttamento dove la grande distribuzione e le multinazionali delle bevande analcoliche ricavano extra-profitti. I consumatori delle grandi città del Nord Italia che comprano le arance le pagano mediamente da 1,20-1,50 euro al kg (bassa qualità) fino a 2,50 euro al kg per le arance biologiche certificate.

Ma di questa storia di sfruttamento, questa catena ignobile per una società civile che tiene uniti ai ceppi i piccoli produttori e gli immigrati, nessuno se ne occupa seriamente, finché questi dati non diventano di dominio pubblico. Grazie a un noto mensile ambientalista «The Ecologist» e un prestigioso quotidiano britannico «The Indipendent» questa storia diviene di dominio pubblico, perché trova un soggetto responsabile e arcifamoso che sta in cima alla catena: la Coca Cola. I due giornali denunciano, nel febbraio del 2011, il fatto che la Coca Cola paghi alle ditte di trasformazione della piana di Rosarno il succo d’arancia a 6 centesimi al kg.La denuncia sfonda sui mass media e la multinazionale statunitense cerca di difendersi sostenendo che questo è il prezzo del mercato mondiale dei succhi.”

Vista in questi termini la vicenda assume un profilo certamente diverso e si inquadra in un contesto di sfruttamento nello sfruttamento, di rapporti tra Nord e Sud del mondo dove il nostro Sud è Nord dell’Africa ma è Sud dell’Occidente.

Una vicenda che necessita quindi per essere letta nella sua complessità, l’occhio di chi, come Mostaccio, sa unire l’analisi economica all’analisi sociologica e non si limita semplicemente alla cronaca spicciola.

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