Perché la grande letteratura del Sud ci consegna una “Storia senza Redenzione” (Corriere della Sera (La nostra storia))

di Dino Messina, del 19 Giugno 2021

Giuseppe Lupo

La Storia senza redenzione

Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli

Un mondo isolato, tagliato fuori dalla storia. Questa è l’immagine del Sud che scaturisce dalle pagine del capolavoro di Carlo Levi, “Cristo si è fermato a Eboli”. Oppure una società dove manca una forte borghesia che sappia prendere il posto di una nobiltà avviata alla decadenza. E’ il ritratto che della Sicilia negli anni dell’Unità ci consegna in pagine straordinarie Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”. Lo stesso senso di pessimismo si avverte ne “I Viceré” di Federico De Roberto, ma anche ne “I vecchi e i giovani” di Luigi Pirandello, per non parlare dei “Malavoglia” o di “Mastro don Gesualdo” di Giovanni Verga. Una società tagliata fuori dalla storia o comunque delusa dal progresso, per cui non resta che sottolineare il senso di solitudine o denunciare i mali atavici che il Risorgimento non ha saputo correggere se non superare.

Da questa considerazione prende avvio lo straordinario saggio di Giuseppe Lupo, storico della letteratura con cattedra alla Cattolica di Milano, ma anche autore di romanzi, “La storia senza redenzione – Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli” da poco edito da Rubbettino. In realtà si tratta di una raccolta di saggi rivisti e limati nell’anno della pandemia che costituiscono una storia letteraria buona per gli specialisti, ma non solo. Un vademecum per capire il pessimismo (e il vittimismo del Sud) che aiuta a vedere le ragioni del mancato sviluppo e il successo di una letteratura, quella neoborbonica, che ancora oggi contesta il Risorgimento fuori tempo massimo.

 

Sostiene Lupo, con un’immagine di grande efficacia, che se a Sud avesse vinto, anche in letteratura, il modello Angioino, quello dei racconti di Giovanni Boccaccio (che è un autore toscano ma anche fortemente napoletano) e di Giovanni Battista Basile, il corso della storia avrebbe preso una piega diversa. Invece, argomenta Lupo, scrittore di origini lucane, ha vinto il modello Aragonese, che ha imposto una scrittura che non va oltre la registrazione dell’esistente, al massimo della denuncia.

Al centro della narrativa meridionale sono le classi umili, in primis i contadini, oppressi da un ceto di possidenti che poco innovano e sono interessati soltanto all’arricchimento. Poco spazio trovano gli artigiani e il ceto borghese e quando viene descritta una scalata sociale incombe la tragedia (vedi “Mastro don Gesualdo”). Sembra davvero che la letteratura meridionale postunitaria nasca al di fuori della storia e senza redenzione. A differenza del romanzo storico italiano per antonomasia, “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, dove non solo c’è una provvidenza che viene in soccorso dei più umili, c’è il senso del progresso e di una storia che può cambiare, ma si descrive una vicenda di successo sociale. Renzo non soltanto riesce a sposare Lucia, vincendo le prepotenze del signorotto, ma da operaio qual era all’inizio del romanzo, alla fine diventa piccolo imprenditore. Un senso di ottimismo e di movimento agli antipodi di quella che Lupo definisce la linea Aragonese.

Il racconto letterario de “La storia senza redenzione” comincia dall’Ottocento e finisce ai nostri giorni. Nella linea aragonese, che cioè non sa andare oltre la denuncia, anche in forma di capolavoro (vedi le opere di Carlo Levi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa) rientrano autori a noi vicini come Leonardo Sciascia e persino Roberto Saviano.

Due scrittori lucani, più di altri, hanno saputo rompere in maniera diversa questo main stream del pessimismo: Raffaele Nigro con il realismo magico de “I fuochi del Basento”, ma anche con opere dedicate ai flussi migratori verso l’Italia, visti come occasione di speranza e di arricchimento, non soltanto di problemi; e Gaetano Cappelli che con ironia e un tocco frivolo descrive ambienti borghesi e disincantati, quasi in polemica con la pesantezza di una tradizione che il Sud non riesce a superare.

Nel libro di Lupo c’è spazio per la grande letteratura campana (Anna Maria Ortese), calabrese (Corrado Alvaro), siciliana (Elio Vittorini), abruzzese (Ignazio Silone), per la folta schiera di scrittori pugliesi che si sono dati al genere giallo. A volte l’autore abbandona le grandi correnti, per descrivere piccoli rivoli letterari. Stupisce in un’opera così completa anche sui contemporanei, una duplice assenza: quella di uno scrittore napoletano, Domenico Starnone, vincitore nel 2001del premio Strega con “Via Gemito”, e di Elena Ferrante, misteriosa autrice di bestseller di ambientazione partenopea.