Il liberale Fassino: fare la propria parte, qui e ora (Il Giornale)

del 4 Dicembre 2012

aavv-dizionarioDa Il Giornale – 2 novembre

Dopo il maltempo torna il sereno. È quanto accade in natura. Nella storia, invece, se sanno e se vogliono, i popoli in più ci mettono del loro. Non si rassegnano alla meccanica alternanza degli eventi. Nel 1925-’28, ormai prossimo alla morte, ci rifletteva Giovanni Giolitti.

Sconfitto in Parlamento, costretto alle dimissioni persino da presidente del Consiglio provinciale di Cuneo (alla sua età non gli andava di cantare «Giovinezza»…), isolato a Cavour lo statista leggeva le cronache di millecinquecento anni di invasioni e dominazioni straniere e constatava che, malgrado tutto, la popolazione italica si riprese, risorse, aggiornando via via la regola di Benedetto da Norcia «ora et labora», in silenzio operoso, senza bisogno di quotidiane prediche di noiosi «priori». Quando riemerse dagli anni dell’ideologia totalitaria, ne11943-’45 l’Italia fece leva su liberali veri, da Benedetto Croce a Marcello Soleri, Leone Cattani, sino a Manlio Brosio, Bruno Villabruna, Emanuele Artom… Chi monarchico, chi repubblicano, qualcuno federalista, tutti europeisti perché i liberali italiani lo erano dal Settecento, un secolo prima dell’Internazionale di Marx e duecento anni avanti la Terza Internazionale di Lenin, erede dell’imperialismo zarista anziché del mite socialismo umanitario. Aristocratico nelle idee e popolare nelle adesioni, come la monarchia (che saldò istituzioni e popoli d’Italia, fusi nella nazione), il liberalismo postbellico contò su giovani come Vittorio Badini Confalonieri e Giuseppe Fassino (Busca, 13 ottobre 1924 27 novembre 2012), sodale di Giuliano Pellegrini, a sua volta congiunto di Luigi Einaudi. Il Paese contava una miriade di cittadelle liberali, bersaglio della Democrazia cristiana, ancora profondamente clericale, arcaica, anti-occidentale, diffidente nei confronti degli inglesi (anglicani), degli americani (che neppure avevano un’ambasciata nella Città del Vaticano ma solo un incaricato d’affari), e della Francia (gallicana, napoleonica, «barbetta»). Iscritto al Partito liberale italiano dal 1945, suo segretario provinciale per quindici anni, finanziatore del settimanale «Il Subalpino», palestra di giovanissimi talenti (Elio Ambrogio, Claudio Massa…), consigliere comunale a Busca, consigliere regionale dal 1970 al 1975 e vicepresidente del Consiglio regionale, senatore dal 1979 al 1993, Fassino dovette farsi carico di innumerevoli uffici e missioni, in una fase d’emergenza. Ne11979 al Senato il Pli contò due soli seggi: il suo e quello di Giovanni Malagodi. Alla Camera aveva appena nove deputati contro i trentanove del 1963. Erano però giovani pugnaci. Con Raffaele Costa, Valerio Zanone, Salvatore Valitutti e altri Fassino fu tra quanti mostrarono che senza il pilastro liberale l’Italia sarebbe stata povera cosa. Aveva appreso grammatica, logica e filosofia politica accompagnando nei comizi Modesto Soleri. Sottosegretario alla Pubblica istruzione nei governi Cossiga e Fanfani e alla Difesa con Craxi, Fassino varò la riforma della scuola elementare: lingua straniera, musica, disegno, educazione fisica: formazione della Persona, prima che del «cittadino» (un’astrazione che spesso è costrizione). All’epoca nessuno immaginava che di lì a poco in Italia si sarebbe scatenata la gara a chi è più liberale, anzi a chi è più liberista. Le cose invero stanno molto diversamente, come insegnano gli autori del «Dizionario del liberalismo italiano» (Ed. Rubbettino) coordinato da storici e politologi quali Dino Co francesco, Luigi Compagna, Fabio Grassi Orsini, Francesco Forte, Roberto Pertici. Gentiluomo, umanista, probo, «vir bonus, dicendi peritus», monarchico e membro della Consulta dei senatori del regno, Fassino sapeva di essere una sorta di ghiaccio vagante nell’Artico. Come Giolitti (che tra gli amici fedelissimi ebbe il napoletano Pietro Rosano e il calabrese Antonio Cefaly), anch’egli ebbe amici dal Mezzogiorno (che altro è Gerardo Marotta se non un liberale irriducibile?) alla Sardegna di Cocco Ortu, dalla Liguria di Alfredo Biondi alla Romagna di Patuelli, editore di «Libro Aperto», e in altri lembi d’Italia, all’insegna del liberalismo autentico, insegnato da Giovanni Cassandro: «tot capita tot sententiae», ognuno è padrone del proprio pensiero ma generosamente antepone l’interesse generale a quello personale. Il liberalismo lo affermò Giolitti e lo ribadì Croce è prepolitica. Non ha bisogno di una forma-partito. È Luce. Perciò tanti sacrestani han cercato di spegnerlo con lo smoccolatoio delle ideologie e delle inquisizioni. Ma la fiammella si rianima come lo Spirito che, recita il Vangelo di Giovanni, «soffia dove vuole». Finiscono liquefatti solo i ghiacci artificiali. Gli altri, tutt’uno con la rupe sulla quale sorgono o galleggianti nel gelo polare, durano e indicano la via. È la lezione di Giuseppe Fassino: fare la propria parte, qui e ora. Proprio perché sono tempi difficili.
di Aldo A. Mola

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