Il vescovo di Noto: “Così spiego il Vangelo ‘cantillando’ Mengoni, Noemi, Ligabue” (Repubblica.it)

di Paolo Rodari, del 10 Giugno 2016

Da Repubblica.it del 10 giugno

Città del Vaticano – Antonio Staglianò, vescovo di Noto, è diventato negli ultimi mesi una sorta di star del web. Una sua omelia “cantillata” in una chiesa di Scicli ha fatto il giro del mondo tanto che la sua “strategia comunicativa” è oggi diventata un libro: “Credo negli esseri umani. Cantando la Buona Novella pop”, è il titolo di un lavoro a cura della Casa Editrice Rubbettino. “Secondo lei Gesù cosa faceva?”.
In che senso, scusi?
“Gesù, quando parlava del seminatore che esce a seminare e mentre semina, una parte del seme cade lungo la strada e gli uccelli lo mangiano… cosa faceva?”.
Si faceva capire?
“Esattamente. Faceva quello che faccio io in chiesa quando durante l’omelia “cantillo” Mengoni, Noemi o durante le giornate diocesane della gioventù prendo la chitarra e canto John Denver, Ligabue o Gabbani. Gesù trovava un “referente simbolico” evidente ai suoi interlocutori e lo utilizzava come strumento per comunicare il regno di Dio. Anche io quando devo spiegare il Vangelo, il significato dell’amore eterno, dell’essenzialità e tante altre cose, provo a usare parole che tutti comprendono, quelle dei cantanti più conosciuti. Purtroppo, nella Chiesa, in pochi fanno questo esercizio, bisogna tentare di uscire dagli schemi consolidati per resistere al degrado delle nostre assemblee sempre più vuote in generale e di giovani in particolare”.
Crede negli esseri umani, e anche nei giovani, anche se non vengono più in chiesa?
“Certo. Non vengono in chiesa ma so bene dove vanno”.
Dove?
“I ragazzi allo stadio. Guardano le partite o cantano nei concerti. Pendono dalle labbra della pop star di turno, cantano con lui, in esercizi canori unici”.
E lei cerca di imitare queste pop star?
“Non esattamente. Io cerco di spiegare ai ragazzi certe cose che ritengo importanti attraverso testi immediatamente comprensibili”.
Ad esempio?
“Che so, se devo parlare del fatto che spesso intorno a noi non incontriamo volti ma maschere potrei citare “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello. Ma chi oggi conosce Pirandello? Così ho più gioco a citare Mengoni: “Oggi la gente ti giudica per quale immagine hai, vede soltanto le maschere, non sa nemmeno chi sei”. E tutti comprendono”.
Padre Ferdinando Castelli della Civiltà Cattolica cercava il volto di Dio anche nei romanzieri più “dannati”. Lei si riconosce in lui?
“In un certo senso sì. Il Concilio ci ha spinti ad andare incontro al mondo. È vero che ci sono tante cose che non vanno intorno a noi. A me, ad esempio, l’ostentazione che si è fatta all’ultimo Sanremo dei nastri arcobaleno non è piaciuta. Ma ciò non toglie che proprio a Sanremo abbiamo ascoltato negli ultimi anni testi magnifici”.
Quali ad esempio?
“Basterà la tua voce a riaccendere tutto, a pulire macerie di un cuore distrutto”, canta Annalisa. E celebra il fatto che l’amore può non finire mai nonostante le difficoltà. Parole degne di nota, a differenza di Patty Pravo”.
Non le è piaciuta?
“La melodia di “Cieli immensi” è stupenda. Il testo meno”.
Cosa non le piace?
“Dice che a noi bastava l’amore mentre il resto ci poteva mancare. Se ci siamo lasciati è perché non siamo immensi, siamo limitati. E, dunque, lasciarsi è quasi fisiologico. È una visione dell’amore che non condivido. Siamo fatti per l’amore eterno, che dura, e questo amore è possibile tra gli esseri umani, concreto”.
Lorenzo Fragola, invece, dice che non ha mai potuto fare l’amore senza amore.
“Una cosa bellissima. Si può fare l’amore senza amore? A mio avviso no”.
Secondo lei i giovani si annoiano in chiesa?
“Purtroppo sì. Le nostre omelie sono lunghe e noiose e sono noiose anche se corte. Ma non è soltanto questo: è che non ascoltano più nulla, nemmeno la parola di Dio. Se vengono in chiesa vengono senza ascoltare. Allora occorre risvegliarli, e cioè usare parole nelle quali immediatamente si riconoscono… Wake up guagliù, direbbe Rocco Hunt”.
Ma come le è venuto in mente di cantare così in chiesa?
“Tutto è nato anni fa a un congresso sulla metafisica organizzato dall’università Cattolica a Noto. Vennero diversi professori di filosofia teoretica. Ricordo trecento ragazzi costretti ad ascoltarli per ore. Nessuno badava a cosa dicevano. A me toccavano le conclusioni. Non sapevo cosa fare. Decisi così di mimare un dialogo con Benigni che mi consigliava di cantare “Vuoto a perdere” di Noemi. I ragazzi di colpo si sono fatti attenti e ho potuto parlare loro del rapporto fra essere e nulla, dell’essenza e della verità delle cose, della morte che non è annientamento, grazie a Noemi, Mangoni e Vecchioni”.
“Cantillando” questi artisti durante un’omelia non si “abbassa” il Vangelo?
“Il problema di fondo credo sia uno: questi testi hanno dignità letteraria o no? Possono essere messi alla stessa stregua della letteratura dei grandi, penso a Leopardi, ad esempio? Dico semplicemente che le tragedie greche, oggi opere di letteratura straordinarie, non erano alla fin fine “le telenovelas pop” dell’epoca? Per me queste canzonette, nella misura in cui intercettano dimensioni dell’umano dell’uomo, appartengono di diritto al Vangelo e alla sua predicazione”.

di Paolo Rodari

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