Il mito di Amore e Psiche sotto il segno della grazia

del 19 Dicembre 2012

amore_psyche_italiano_150Da Libero – 19 dicembre 2012

Nel ‘700 l’antica favola incantava e anticipava le inquietudini romantiche. Proponiamo una parte dell’articolo di Fernando Mazzocca, titolato «Nel segno della grazia.

La rappresentazione del mito di Amore e Psiche in età neoclassica», pubblicato sul catalogo della mostra, edito da Rubbettino Editore e curato da Vincent Pomarède, Valeria Merlini e Daniela Storti. Nel giugno del 1815 Giovanni Battista Sommariva, uno dei grandi collezionisti del suo tempo, mecenate e amico di Canova, scriveva al grande miniatore bresciano Giovanni Battista Gigola, a proposito di una Apoteosi di Psiche che gli aveva commissionato e che stava attendendo con impazienza, della congenialità che sentiva verso questa tematica, uno dei miti più fortunati, anche nelle arti, di tutti i tempi, del quale in questo momento c’era una forte ripresa: «Secondo gli antichi la Psiche è l’emblema dell’anima. Io sono di questa religione; e voi sapete che mi fa piacere in tutti i modi, che mi venga rappresentata. La migliore di tutte le situazioni però è quella di vederla, dopo tanti guai, contenta e soddisfatta, trionfante di tutte le avversità, al colmo della sua allegrezza; ed eccola nell’Olimpico V. o Paradiso, che la v.a amicizia me la destina». Il lombardo Sommariva doveva avere certamente ammiratolo lo stesso soggetto (Psiche accompagnata da Mercurio viene accolta da Giove in Olimpo) affrescato nel 1791 da Andrea Appiani, artista da lui protetto e collezionato, sul soffitto di Palazzo Busca Arconati a Milano, e nel tondo della volta al centro della serie delle lunette con le Storie di Psiche dipinte nel 1792 nella Rotonda della Villa Reale (allora Arciducale) di Monza. Così, visti gli stretti rapporti, anche di affari, con quel la famiglia avrà visitato la magnifica stanza del distrutto Palazzo Torlonia in Piazza Venezia a Roma dedicata a Psiche, decorata con i chiaroscuri di Caretti e il monumentale dipinto sulla volta con l’Apoteosi di Psiche realizzato entro il 1816 da Vincenzo Camuccini. Si tratta, insieme ai marmi di Canova sul tema (i due gruppi e la sola figura di Psiche eseguiti ciascuno in due versioni in un giro d’anni che va dal 1787 al 1803) delle rappresentazioni più significative nel Neoclassicismo italiano di un mito allora così amato. Lo ritroviamo dunque al centro degli interessi di due pittori che rappresentano le anime diverse della poetica neoclassica: il milanese Appiani, «pittore delle Grazie», che aspirava a raggiungere la naturalezza e la dolcezza di Correggio e il romano Camuccini, il più autorevole seguace italiano di David, campione del «sublime», di quella dimensione eroica e impegnata nei severi temi storici e mitologici che si regolava sui canoni più rigorosi del bello ideale. Canova conquistò una fama, che nessun altro artista del suo tempo riuscì araggiungere, proprio per la sua capacità di far convivere nella sua opera i due registri, quello grazioso e quello eroico, modellando contemporaneamente le carni morbide e sensuali delle divinità adolescenti, gli Amorini, Psiche, Ebe, Venere, Adone, Paride e le anatomie colossali dei Pugilatori, di Teseo, di Ercole, di Ettore e di Aiace. A parte isolate voci di dissenso, di chi non trovava come Femow la sua indole delicata adatta ai soggetti eroici, Canova venne sempre apprezzato per essere riuscito a far convivere questi due registri. Per la qualità e la coerenza dei risultati il suo rimane il caso più significativo anche se non mancano altro protagonisti del Neo classicismo, come David, capaci di esplorare i diversi versanti di un’arte, quella neoclassica, che a partire dall’approccio innovativo di Robert Rosenblum e di Hugh Honour si è rivelata in tutta la diversità delle sue componenti, non di rado contraddittorie. Dopo i due Amorini Lubomirski (1786) e Campbell (1787-1789), il vero esordio di Canova nel genere grazioso, alla conclusione del Monumento funerario a Clemente XIV e ancora in mezzo all’altra impegnativa impresa di quello a Clemente XIII, sarà segnato proprio dal cimento col mito di Amore e Psiche, il gruppo giacente la cui prima versione risale al 1787-1793 e laPsicheper HenryBlundell del 1789-1792. Oltre al consueto confronto con l’antico, che peraltro si rivela spesso meno vincolante di quanto sembri, Canova non poteva ignorare certi procedenti. Prima di tutto la fortuna che il tema in pittura aveva goduto a partire da Raffaello. Sicuramente la sollecitazione a muoversi in questa direzione gli veniva da un pittore, che aveva rappresentato il punto di congiunzione tra l’ininterrotta tradizione classicista il Neoclassicismo, Pompeo Batoni. Ormai alla fine della sua gloriosa carriera internazionale, era stato un personaggio fondamentale per la formazione del giovane scultore che ne aveva frequentato l’Accademia privata, definendolo con ammirazione «omo grande che restai nel vedere le sue opere».

Di Fernando Mazzocca 

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