Sono proibiti perciò ci piacciono

di Andrea Porta, del 8 Giugno 2012

Da Airone – 06/2012
Cibo, sesso, gioco e fumo sono tra le principali forme di piacere. La scienza spiega perché non potremmo vivere senza queste trasgressioni

Mangiare un’intera torta di panna. Giocare d’azzardo. Fare sesso con uno sconosciuto. Fumare. Il piacere che ci danno le cose “proibite” guida le nostre scelte, ci motiva. A livello biologico il piacere è un meccanismo fondamentale per la sopravvivenza della specie: quello del palato ci spu1ge a nutrirei, l’orgasmo ad accoppiarci. Provate a pensarci: che fatica sarebbe cercare un partner e corteggiarlo se non ci fosse una “ricompensa” sessuale? «Il piacere è un ingegnoso sistema creato dall’evoluzione», spiega Stefano Canali, docente di Storia delle neuroscienze all’Università La Sapienza di Roma, «per convincere gli esseri viventi a nutrirsi e a riprodursi, garantendo la continuazione della specie». Ma non solo: permette anche di ridurre lo stress. il caso più documentato è quello dei bonobo (Pan paniscus), le scimmie dell’Africa centrale che per aspetto e struttura anatomica si avvicinano molto all’uomo, per i quali il sesso è uno strumento per risolvere pacificamente gli attriti nel gruppo.


Vietato peccare!

Eppure molte fonti di piacere sono da sempre oggetto di divieti e restrizioni sociali: per esempio, in Occidente il sesso è ammesso, ma certamente la promiscuità non è apprezzata; il junk food, il cibo spazzatura, è molto gradevole, ma ci sentiamo in colpa quando ne mangiamo troppo. Per capirne il motivo, Alberto Zatti, docente di Psicologia sociale e di comunità all’Università degli studi di Bergamo e autore di Antropologia minima del piacere (Rubettino), fa una distinzione: «Quelli citati sono piaceri primordiali. Nascono da necessità biologiche e vengono placati quando l’oggetto del desiderio è acquisito. Esiste un’altra forma di piacere più evoluta: quella funzionale che deriva dall’esercitare le proprie capacità e competenze, anche senza un ritorno immediato». Fare palestra, studiare, correre: queste attività sono piacevoli, ma non subito. Anzi, inizialmente provocano fatica se non dolore. Alla lunga ci sanno dare una soddisfazione maggiore e più duratura. Da questa doppia faccia nasce il timbro sociale nei confronti dei piaceri più primordiali: droghe leggere, sesso promiscuo, cibo assunto con voracità rispondono a esigenze immature di soddisfazione. «Nelle culture di tutto il mondo si trovano regole ben definite sul piacere: si dovrebbe ricercarlo con moderazione, deve essere meritato, ottenuto in modo naturale e la sua rinuncia può portare alla crescita spirituale», dice il neuroscienziato David Linden della Johns Hopkins University di Baltimora (Usa). Il motivo? «Cercare soddisfazione solo attraverso il piacere primordiale condanna a un’esistenza ristretta», spiega Zatti. «Potremmo anche vivere mangiando solo quello di cui è ghiotto un bimbo di pochi mesi, cioè di cibi zuccherini. Ciò ostacolerebbe la nostra capacità di adattamento ad ambienti in cui questi cibi non sono disponibili. Allo stesso modo un bambino svezzato solo con la pasta, più gradita ai piccoli della carne, sarà certamente contento. Ma crescendo si scoprirà poco adattabile, e non solo in termini alimentari».

 

Il tranello dei fast food
Lo sanno bene le catene di fast food che sui cibi dolci puntano la loro strategia. Stimolando gusti primordiali, che ci ricordano il sapore del latte materno e la morbidezza del seno, hamburger e milk shake ci spingono a riscoprire un rapporto edonistico con il cibo. Tanto che, secondo alcuni studiosi, questi sapori intensi avrebbero persino la capacità di farci regredire. Lo sostengono, per esempio, Chen-Bo Zhong e Saruord DeVoe, due ricercatori della Rotman school of management di Toronto (Canada) , secondo i quali il fast food ci trasformerebbe in neonati che aspettano la “poppata”: impazienti e incapaci di rimandare il soddisfacimento dei propri bisogni. Certo alcune circostanze più di altre ci spingono a ricercare forme di piacere consolatorio attraverso i sapori intensi. «È tipico ricercare da mangiare, specie cibo spazzatura e in modo compulsivo, quando siamo stressati», spiega Giuseppe Vercelli, docente di Psicologia del lavoro all’Università di Torino. «In queste situazioni il nostro corpo è presente, ma la nostra mente tende ad allontanarsi.

Questo distacco crea un buco che deve essere riempito. Cibo e bevande servono proprio a questo: ci danno un’illusione di riconnessione alla realtà. Un meccanismo che può funzionare bene a breve termine, ma sul lungo periodo ha un effetto negativo». Occorre quindi porsi un freno. «Il soddisfacimento degli istinti primari», aggiunge Alfredo Civita, docente di Storia della psicologia all’Università di Milano, «si scontra con la realtà. A partire dai sei anni diventa egemone in tutti i bambini il principio di realtà: imparano a fare i conti con il mondo, anche se questo può essere spiacevole, e con le nonne morali; tollerando le rinunce in nome di un ideale superiore o di un piacere maggiore in futuro».

Avviene tutto nel cervello

Di qualunque piacere si tratti, la reazione cerebrale è sempre la stessa: ad attivarsi sono l’amigdala, l’ippocampo, l’ipotalamo, il giro del cingolo e il nucleus accumbens, le parti più arcaiche nell’evoluzione del sistema nervoso. Sono queste le strutture connesse al circuito della dopamina (o “della gratificazione”), dal nome del mediatore chimico del piacere che motiva ogni azione tanto nel mondo animale quanto nell’uomo. È partendo dall’analisi di questi circuiti che sono oggi allo studio terapie sempre più efficaci contro le dipendenze da alcol, da droghe ma anche da gioco d’azzardo e da sesso. «Le ricerche sul cervello”, spiega Zatti, «sembrano dire che potenzialmente ogni forma di piacere può portare a una dipendenza». Cibo, droghe, ma anche internet, gioco d ‘azzardo e persino sesso possono diventare attività dominanti con cui il soggetto intrattiene un legame stretto e nel quale resta imprigionato. La cosiddetta sex addiction – il disturbo che spinge chi ne è affetto a ricercare sesso promiscuo o pornografia senza trarne soddisfazione – rientra tra le cosiddette nuove dipendenze, con un’incidenza stimata tra il 2 e il 5 per cento della popolazione adulta. «Non è possibile identificare un limite netto tra una sana ricerca di appagamento e una dipendenza», precisa Zatti. Certamente quando il piacere smette di essere tale e conduce il soggetto a una forma di schiavitù, il problema va valutato seriamente.

Possono piacere anche le tasse

Una cosa però è certa: le forme di piacere che l’uomo occidentale sperimenta, non sono altro che evoluzioni di un tema primordiale: «Possiamo anche introdurre nuovi piaceri, come quando abbiamo inventato la televisione, la cioccolata, i videogame e così via», spiega Paul Bloom, professore di Psicologia e scienze cognitive alla Vale University (Usa). «Ma tutte queste cose sono piacevoli perché sono collegate a piaceri che gli esseri. Umani già conoscevano. La cioccolata belga e la bistecca alla griglia sono invenzioni moderne, ma soddisfano il nostro gusto primario per lo zucchero e i grassi», Nonostante ciò, il modo di provare soddisfazione si sta allontanando dalle necessità biologiche. Lo ha dimostrato una ricerca pubblicata dalla rivista Science: secondo studiosi dell’Università dell’Oregon (Usa), perfino pagare le tasse può diventare fonte di soddisfazione. Simulando una forma di tassazione su un gruppo di 19 volontarie, è stato dimostrato, tramite risonanza magnetica, che l’esborso, se finalizzato a una nobile causa, accende nel cervello le identiche aree coinvolte nei meccanismi del piacere.

Di Andrea Porta

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