Angell, un irriducibile pacifista (Lavocedinewyork.com)

di Luigi Troiani, del 21 Luglio 2023

Norman Angell

La grande illusione

Studio sulla potenza militare in rapporto alla prosperità delle nazioni

a cura di Emma Giammattei e Amedeo Lepore

Come il modo migliore per vincere una guerra è quello di non farla

Angell, un irriducibile pacifista

Gesù sul monte delle Beatitudini disse: Beati i pacifici, non “Beati i pacifisti”.

Questi ultimi, di fatto, rischiano di essere inavvertitamente persone di guerra, almeno quando misconoscono taluni principi basilari della legge naturale e dell’etica universale, come il dovere alla difesa contro l’aggressore, il diritto all’indipendenza e alla sovranità, l’obbligo alla solidarietà umanitaria. In questo modo finiscono per legittimare la prepotenza dei bulli internazionali – sempre pronti ad approfittare dei vuoti di resistenza ai propri appetiti di conquista – contribuendo a creare le condizioni perché si scatenino le guerre. La storia dei rapporti internazionali, sino all’attuale aggressione russa contro l’Ucraina, è lì a ricordarlo a chiunque abbia orecchie per ascoltare e occhi per vedere.

Norman Angell (1872-1967), riconosciuto maestro di pacifismo, si colloca tra chi rifiuta per principio l’uso delle armi, ritenendolo comunque e sempre foriero di eccessivi costi umani ed economici. Premio Nobel per la pace nel 1933, ebbe una vita pubblica piuttosto intensa, con attività che – nonostante la spiccata vocazione agli studi di economia – spaziarono dal giornalismo alla saggistica, non disdegnando la politica da deputato laburista. Può a ragione affermarsi, come fanno i curatori dell’edizione italiana di La grande illusione, che la sua vita sia stata “tutta dedita alla causa della pace”.

La scelta risalta evidente nei capitoli messi insieme da Emma Giammattei e Amedeo Lepore, appena edito da Rubbettino. La great illusion del titolo altro non è che la guerracome dimostrerebbe lo “studio sulla potenza militare in rapporto alla prosperità delle nazioni”, sottotitolo che l’autore propone al lettore. Quando il libro uscì in prima edizione a Londra nel 1910, nell’atmosfera delle guerre coloniali e del rullare dei tamburi che avrebbero presto portato allo scoppio della Prima grande guerra del novecento, fu un immediato successo. Loslogan derivato dal titolo avrebbe attraversato l’intero secolo, animando ogni resistenza all’uso delle armi, persino nelle situazioni di violazione dei diritti umani da parte di stati canaglia.

Partendo dalle elaborazioni sulla materia da parte di autori come David Hume e Adam Smith, Angell attualizzò il cosiddetto “paradosso della guerra”, dimostrando che ogni guerra è pirrica, nel senso che persino in caso di vittoria, le perdite in termini umani ed economici risulterebbero superiori a quanto si sarebbe mantenuto evitandola. Riferendosi in particolare al teatro europeo, Angell dimostrò, con un metodo che ritenne scientifico, come il modo migliore per vincere una guerra fosse di non farla, nel senso che un conflitto armato sarebbe stato letale e tremendamente costoso per vincitori e vinti. Di formazione liberale e liberista, contava anche i danni che le guerre causano in termini di libertà civili, regime politico, stravolgimento degli assetti internazionali

Pur condividendo l’afflato morale che ispira Angell, riconoscendogli intuizioni e anticipazioni (si pensi al valore che annette – cosa non scontata all’inizio del novecento – all’“elemento finanziario” per le “proporzioni” che acquisisce “in modo non relativo alla popolazione, ma assoluto, in sé”), restano interrogativi sul risultato al quale, nelle relazioni internazionali, condurrebbero le ricette che suggerisce. Due le obiezioni fondamentali.

La pace angelliana vivrebbe solo nel consenso universale, che l’autore non spiega come raggiungere; se dovessimo dar retta al Bismarck citato nell’opera, già per questo Angell figurerebbe tra gli “individui illusi e pericolosi a un tempo, idealisti troppo buoni e ingenui per un mondo aspro e crudele come questo, dove la forza è la prima legge”.

Inoltre nulla di serio è proposto a chi la guerra la subisce in quanto nazione aggredita, risultando evidentemente insufficiente a risolvere la situazione l’opera della diplomazia e delle organizzazioni internazionali.

Spiace richiamare che solo l’equilibrio delle forze ha consentito al mondo così com’è, di non saltare sulla mina nucleare, e che al contrario solo lo squilibrio delle forze ucraine rispetto a quelle russe spiega l’aggressione di Mosca a Kyiv.

I curatori sostengono che Angell abbia scritto e riscritto il suo testo (ne circolarono effettivamente tra il 1909 e il 1938 ben sei edizioni) in base alla “fede nella evidenza della ragione” con un profilo da “predicatore laico”. Resta da capire come il trinomio fede-ragione-predicazione possa funzionare nell’interpretazione e nel governo della realtà. Perché, purtroppo per tutti noi, la sciagura della guerra è della realtà che fa parte. Da sempre.