La corte dei Vicerè (Repubblica)

del 13 Marzo 2013

Da Repubblica del 13 marzo 2013

Quando il più anziano dei senatori della Repubblica ha annunciato che se i neoparlamentari grillini fossero arrivati senza giacca e cravatta non li avrebbe fatti entrare a Palazzo Madama, non l’ha citato, mal protagonista del discorso era lui, diciamo così: il “cerimoniale”. Ne esiste ancora uno, ed è figlio di quello che inventarono i reali di tutte le latitudini. Ma quello di Napoli, nel sapere comune, si fermava agli Angioini e agli Aragonesi. Vennero poi i viceré e gli spagnoli, ma, mentre delle usanze di corte dei Borbone da Ferdinando in poi si sa di più, è rimasto a lungo oscuro il periodo intermedio, tra il Quattro e il Settecento. È stato presentato ieri a Palazzo Reale il primo di una serie di volumi sui “Cerimoniali” della corte di Napoli: “libros de ceremonias”, come li chiamavano gli spagnoli. Due di questi partirono dal Palazzo Reale di Napoli in un giorno e un anno imprecisati della seconda metà del Settecento: una tempesta li fece finire in acqua, ma furono poi recuperati non lontano dal Golfo. Sono un cerimoniale in italiano e uno in spagnolo, e sono al centro del primo volume stampato dall’editore Rubbettino “Cerimoniale del viceregno spagnolo e austriaco 1650 -1717”, a cura diAttilioAntonelli, una co-produzione italo-spagnola, con il contributo della Regione e del Mibac. È prevista la pubblicazione di altri quattro volumi, di cui il terzo e il quinto si soffermano sul Cinquecento. I protagonisti, le cerimonie e le funzioni religiose, numerosissime nel caso dei viceré, e le visite ai conventi, le processioni: tutti i compiti ufficiali dei regnanti. La lettura di queste note di cronaca condite dal galateo nobiliare svela tante cose. Che la vita sul mare era molto viva, che aumentavano sempre più i cortei di santi e patroni, ma anche i concerti nei conventi, con “la città che diveniva palcoscenico di se stessa e della sua corte”. A San Martino, i certosini dovevano prevedere cinque diverse stanze da pranzo per il viceré e il suo seguito. Memorabili erano le “cavalcate”: cortei reali che attraversavano l’intera città (e di cui si ha un’eredità oggi quando il traffico viene bloccato per il passaggio delle auto blu). O anche le entrate in città dei viceré: molte arrivavano dal mare, con una distesa di feluche e gondole. Il depositario di ogni regola era il maestro di cerimonie, sempre presente, chiamato per ogni dubbio dal re e dai cortigiani. C’è poi il galateo del rispetto per i “superiori”: non si cammina per Napoli con un tiro a sei, perché quello è il numero di cavalli riservati al viceré. E non ci si rinnova la barca se il viceré non è stato il primo a farlo. Tra le riscoperte del Cerimoniale stampato, la “escalera secreta”, cioè la scala segreta che portava dagli appartamenti vicereali all’arsenale e al “Muelesillo”: proprio lui, il Molo Siglio, ovvero ilMolo piccolo. Ma non si può dire, come oggi, che ci fosse scarso rispetto per le regole: il principe di Bisignano girava in carrozza con i servitori a capo scoperto; il cerimoniere gli fece presente che questo diritto l’aveva solo il capitan generale. Il principe fece orecchie da mercante e si beccò una bella multa di 20 mila ducati e tutti in chiesa a cantare il Te Deum e per due giorni. Da allora la regola fu rispettata. Un paragone il popolo aveva “lumi” per tutta la città. Tempi in cui con l’oggi: alla nomina del nuovo papa si andava la Spending Review era ancora di là da venire.

STELLA CERVASIO

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