Intervista a Daniel Cundari (Corriere della Calabria)

del 6 Maggio 2013

Dal Corriere della Calabria del 2 maggio 2013

Quando arrivò per la prima volta nella sede dell’associazione il Brigante, a presentare il suo ultimo lavoro, tra le mani teneva una grossa scatola di cartone, di quelle che si usano quando si viaggia, legate con quel nastro marrone, o come si faceva nei treni per le valigie, con lo spago, quello dei salami. Pensammo naturalmente ad alcune copie del volume, portate per dare la possibilità a chi volesse di acquistarne una. Lui, corvino, sorridente, mediterraneo coi suoi modi gioviali, diventa subito il centro dell’attenzione di tutti. Ricordava quei giovani visti nelle stazioni, sugli espresso Palermo-Torino che passavano, scortando la famiglia al seguito, nei corridoi dei treni, con -quelle valigie che profumavano di mortadella.
«Piacere Daniel… La cosa che un po’ ci lasciò perplessi fu l’effettivo odore di mortadella, che proveniva dal suo fagotto. Aperta la scatola, infatti, invece dei libri, c’erano salami e formaggi, vino del Savuto e “vino tinto”, La presentazione del volume diventa una festa, tra le sue poesie in dialetto roglianese e i suoi versi in spagnolo, suoni vocali che ricordano e fondono assieme tarantella e flamenco. “Istruzioni per distruggere il vento” è una narrazione autobiografica che spazia tra la Calabria e la Spagna, che descrive in particolari minimali ma molto indicativi, nell’identificazione culturale delle due regioni. Due sud d’Europa confrontati e vissuti contemporaneamente, esaltati nella loro bellezza e nelle loro contraddizioni, nei suoi versi d’amore e di protesta.
«Che brucino tra le vampe del dimenticatoio Plotino, Stazio, Mostrato e Pausania. Se ne avessi il coraggio, arderei assieme alla folta barba di Cassiodoro, alle ballerine ostrogote di Teodorico e alla Biblioteca del Vivarium. Forse i Bronzi di Riace sono soltanto una coppia di statue bronzee riaffiorate per caso da un mare ellenico, i capitelli dorici un qualsiasi souvenir da incollare al primo turista venuto da un eldorado fatato e Pitagora un povero ubriaco che sbarcò fortuitamente sulle argentate spiagge di Crotone. Davoli, Zungri, Botricello, i vigneti indaco di arò. Sa, anch’io ho creduto nello strenuo coraggio di Tommaso Campanella, “Io nacqui a debellar tre mali estremi, tirannide, sofismi, anch’io ho occhi capaci di guardare in quelli dei miei conterranei che si fanno… il mazzo grande quanto il Colosseo ogni giorno nei campi, nelle pompe di benzina, nei macelli, fra i ventilatori delle ricevitorie, dietro le specchiere delle anagrafi dei municipi, nelle cliniche per i malati terminali, sui telefoni dei call-center». Punzecchiare Daniel con un’intervista dopo aver letto il suo libro, è stato un piacere. È stato un piacere ascoltarlo recitare, e il suo vino e i salami di Rogliano – che come un mago ha estratto dal suo cilindro di cartone – erano davvero buoni.
Un Brigante che scrive in spagnolo. Neo brigantaggio filo-borbonico?
«Contadino della penna. Scrivo per arare il mio cuore. Non faccio altro che salvare qualche germoglio da una terra infestata dai parassiti. Ma il vero contadino è sempre un brigante, un poeta».
Pesa più la zappa o la penna?
«La zappa non pesa al contadino, così come la penna non dovrebbe pesare a chi scrive. Il mestiere di scrivere è una cosa seria, ma con l’informazione indifferenziata che domina la nostra società ormai non riusciamo a distinguere nemmeno uno scribacchino da uno scrittore. Ahi! Forse mi sono tirato la penna sui piedi…».
Allora, in questa metafora, dove la zappa è la penna, lei la terra come la rappresenterebbe?
«La terra è rappresentata dalla lingua e da molte cose che ho vissuto e che si trovano nei miei libri. Una terra cangiante, fatta di attimi, conquiste, sconfitte. Terra reale e mitica. La civiltà contadina, in ogni modo, è sempre presente nei miei scritti in senso nostalgico e allucinato».Neruda o Costabile?
«Neruda e Costabile, naturalmente. Io salvo sempre i poeti. Ho un debole per “Residenza sulla terra” di Neruda e per il Cile in generale: Roberto Bolan- o, Nicanor Parra, Radi Zurita. Franco Costabile, nonostante la sordità dei suoi conterranei, è il vero cantore del Meridione, ancor più di Rocco Scotellaro. Di quel nostro Sud,”mezzogiorno potente di cicale”…».
“Y es que yo no sè. IY esqueyo no puedo. / Y es que yo no quiero. /Y es que hay que morir un poco para seguir viviendo”: mi parla di questa tarantella?
«È una poesia di “Geografia feroz”, un libro che pubblicai a Granada grazie all’interesse di Antonio Carvajal, il “miglior fabbro” della poesia spagnola. La tarantella di quel periodo sfidava il flamenco che ormai aveva invaso il mio immaginario poetico. La mia poesia si nutre molto del sottobosco artistico. Spesso lasciavo la città per salire tra le cuevas e rapinare gli accenti ai cantaores. Per nostalgia, volevo trasportare un po’ della mia infanzia sui declivi del Sacromonte. Penso che il risultato sia affascinante».
Perché distruggere il vento?
«Perché distruggere il vento è impossibile quanto realizzare un sogno».
E il suo sogno impossibile?
«Che qualcuno un giorno possa comprendere ciò che ho scritto. Non necessariamente nel futuro».
E quello possibile?
«Rispondo con Bufalino, che sosteneva che ognuno sogna i sogni che si merita».
Sta lavorando a una prossima pubblicazione?
«Lavoro sempre a qualcosa: articoli, romanzi, poesie. Ho diversi manoscritti nel cassetto che in questo periodo sto limando con dedizione. Inoltre, sto curando un saggio su Cesare Pavese per un’importante rivista spagnola. La letteratura costituisce un impegno costante e doloroso. Bisogna star seduti a leggere e rileggere per più di nove ore al giorno. È triste, comunque, notare l’enorme disinteresse della classe politica per i suoi scrittori. L’abbandono, l’insensibilità. Sono sicuro che se chiedessimo a un onorevole di fare i nomi di cinque scrittori calabresi farebbe scena muta. Eppure stiamo attraversando la primavera delle nostre lettere. Vergognoso».

Intervista di Sergio Gambino

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