Come nasce l’idea di un libro collettivo, Lou Palanca si racconta (catanzaroinforma)

del 19 Novembre 2012

palanca_150Da catanzaroinforma – 18 novembre 2012
La sera del primo aprile 1965, fra i vicoli del centro storico di Catanzaro, viene ucciso Luigi Silipo, sindacalista dei braccianti ed esponente di rilievo del Partico comunista italiano. Dopo una prima ondata di partecipazione e interesse, l’accaduto viene progressivamente dimenticato, sepolto fra oblii e reticenze, fino a scomparire dalla memoria collettivaCi pensa l’opera di Lou Palanca con “Blocco 52. Una storia scomparsa. Una città perduta” – a ripescare quei fatti, e a puntare l’attenzione su una vicenda rispetto alla quale non c’è nessuna verità giudiziaria accertata: si è trattato di un omicidio politico, passionale o mafioso? Il libro di Lou Palanca – pseudonimo utilizzato per firmare un lavoro collettivo realizzato attraverso una precisa divisione dei compiti di scrittura, nell’ambito di una costante riflessione comune – è uscito venerdì scorso in libreria, per i tipi di Rubbettino Editore. Il 24 novembre ne è prevista la presentazione a Catanzaro e il 7 dicembre quella a Reggio Calabria. Si tratta di un libro scritto a più mani e se si tratta di intervistare il suo autore collettivo, che affonda radici a Catanzaro, Reggio Calabria, Roma, si pone un problema metodologico: come si può intervistare Lou Palanca? La soluzione condivisa è quella di adottare lo strumento che i componenti del collettivo di scrittura hanno usato per dare vita alla loro opera: l’e-mail. Come nasce l’idea di un libro collettivo? Abbiamo incrociato qualche informazione storica, su un omicidio avvenuto a Catanzaro, con le nostre conoscenze di quell’epoca e le nostre percezioni dell’epoca attuale. Un omicidio eccellente, senza colpevoli o moventi accertati, ma soprattutto dimenticato, sparito dalla memoria collettiva della città: senza dubbio un fatto che ispira una forte suggestione. Un mistero degno di essere indagato. Da questa dignità siamo partiti. Dopo di che abbiamo provato a scoprire la dignità di un uomo, borghese, figlio di un gioielliere morto suicida, che aveva partecipato, giovanissimo, alla vita del Pci facendo parte del comitato centrale del partito. Quando, negli anni ’50, quell’organismo era composto da poco più di centinaio di persone del livello di Togliatti, Secchia, Jotti, Alicata, Amendola, Ingrao, Napolitano, Berlinguer, Pajetta, Natta… E cosa avete scoperto? Nulla. Non abbiamo scritto un libro di inchiesta, bensì un romanzo, un’opera di fantasia basata sulla suggestione di un fatto enorme per un una città come Catanzaro, eppure dimenticato, disconosciuto, ignorato. Abbiamo usato quella chiave per leggere la città che si trasformava, che bucava il Sansinato e gettava il ponte di Morandi oltre i limiti dei tre colli, che si avviava a diventare capoluogo di Regione. Il primo omicidio avvenuto a Catanzaro dopo 26 anni era un fatto sconvolgente eppure digerito nello stomaco di una città che si apprestava a portare la squadra di calcio in serie A. Dunque affermate sia un’opera di immaginazione. Ma avete incrociato anche qualche dato “autobiografico” che vi riguarda. Quando abbiamo iniziato a cercare di comprendere questa storia uno di noi ha scoperto che suo padre fu il magistrato di turno chiamato a rilevare la scena del crimine, pochi giorni prima che il figlio di quel magistrato, quello di noi, nascesse. Un elemento di metascrittura , che ci ha portato anche a definire la conclusione e il titolo del libro. Avete quindi scelto di indagare una vicenda storica con gli occhiali del romanziere. Non proprio. Piuttosto ci siamo chiesti se questa storia fosse capace di raccontare la storia di Catanzaro a sé stessa: una città priva di memoria e incapace di progettare il proprio futuro aveva bisogno di ricercare sè stessa. Non è un caso se la ricostruzione della vicenda Malacaria (altro assassinio insoluto sul piano giudiziario) che oggi è reperibile su internet ed a cui attingono gli organi di informazione sia scaturita dalla ricerca di alcune/i di noi. Ma quindi chi ha ucciso Luigi Silipo. Quale è stato il movente dell’omicidio? Non abbiamo una risposta, ma la domanda è in sé stessa la chiave che ci ha spinto ad indagare, a chiederci cosa fosse successo, quale fosse la realtà di quegli anni, cosa succedesse tra le donne e gli uomini che calcavano la scena sociale e politica di quell’epoca. Quanto contano le vostre biografie nella lettura che date di quelle vicende di Catanzaro? E’ inevitabile che contino, ma esse sono fatte di persone emigrate, rimaste, tornate dalla città o che, altrimenti, l’hanno vissuta con lo sguardo dalla vicina realtà di Reggio Calabria e della sua provincia. Pensate di continuare in questa esperienza di scrittura collettiva? Siamo docenti universitari e scolastici, dirigenti di pubbliche amministrazioni e avvocati. Viviamo e lavoriamo in città diverse. Ognuno/a di noi segue un percorso esistenziale e professionale che ha una sua propria particolarità, eppure sarebbe difficile dire che non abbiamo la tentazione di proseguire sulla strada che abbiamo intrapreso. Ci sono altri misteri da affrontare? Sicuramente ci sono altre storie da raccontare. Un’ultima domanda. Qual è la vostra tecnica di scrittura? In verità non esiste una tecnica. Scrive chi ha tempo o ispirazione e invia agli altri il frutto del suo lavoro. Gli altri ci si agganciano, interpolano e via di seguito. Dobbiamo dire che l’opera di revisione non è stata particolarmente intensa, proprio perché essa avveniva già durante la scrittura stessa. Sicuramente, comunque, si è trattato di una bella esperienza condivisa. Ma. Ri. Ga.

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