Elezioni americane: Romney, Hayek e la via della schiavitù

del 6 Novembre 2012

Può sembrare a prima vista curioso che, all’indomani del risultato elettorale americano, un vecchio (la prima edizione è del 1944) libro di un’economista austriaco liberale quale Friedrich von Hayek sia improvvisamente balzato in cima a tutte le classifiche di vendita americane sbaragliando i tanti libri di analisti politici contemporanei e diventando un vero e proprio best seller, come ricorda peraltro Alexander Stille oggi su Repubblica (“Soldi, welfare, sogni, braccio di ferro sul futuro dell’America”, p. 9). 

La cosa appare meno curiosa se si considera che il libro è intitolato “La via della schiavitù” (edito in Italia da Rubbettino) e che ha come oggetto della stringente analisi dell’autore (che fu peraltro maestro di Popper) i guasti che lo statalismo può apportare alla democrazia fino a condurre dritti se non a regimi quanto meno ad assetti di governo di tipo totalitario.
“The road to serfdom” è diventato così una sorta di mantra usato dai repubblicani per indicare come la via scelta da Obama di aumentare il peso dello stato sociale rischi di affossare quella che viene da sempre considerata come la culla della democrazia, limitando sempre di più la libertà degli individui. 
Una testimonianza ulteriore di quanto la lezione di Hayek sia ancora pienamente attuale.

Il libro

Qual è la lezione che questo libro destina al mondo occidentale dell’epoca e al tempo stesso – per l’attualità delle sue intuizioni – concede in eredità ai contemporanei? Semplicemente che non può esservi alcun compromesso tra la libertà e i diritti «sociali» degli individui. Il fascismo, il socialismo, il nazismo, il comunismo, totalitarismi che, secondo Hayek, conducono alla via della schiavitù, sembrerebbero ormai appartenere ai residui del «secolo breve». Questi regimi dispotici non hanno saputo adattarsi alle sfide della modernità, e quindi hanno dovuto soccombere sotto il peso delle loro nefandezze etiche e inefficienze economiche. Mentre il sistema democratico, insieme al mercato, si sono rivelate le soluzioni più idonee, seppure in sé imperfette, per il mantenimento e il miglioramento degli equilibri politici e per il progresso morale e materiale della società civile. Emerge, però, la delusione dell’autore nei confronti del destino storico della democrazia. La radice delle sue distorsioni originarie sta proprio nell’opposizione dei popoli all’idea di libertà, che si manifesta nell’anelito masochista alla schiavitù. Il problema sollevato da Hayek – perché emergono i peggiori ovvero, per contro, soccombono i migliori – costituisce uno dei maggiori crucci per i cittadini del nostro tempo, la causa della loro delusione e del loro distacco dalle istituzioni politiche. Dovunque, la corruzione sembra avere la meglio sulla meritocrazia, il burocratismo sull’efficientismo, l’illegalità sullo stato di diritto. Diventa subito chiaro perché emergano i peggiori: laddove vengono meno la logica di mercato e le regole della competizione, laddove non c’è una «società aperta», acquista maggiore forza di ammonimento la predizione che «il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto».

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