James Maurice Scott: un esploratore britannico a tu per tu con la ‘ndrangheta (Icalabresi.it)

di Saverio Paletta, del 6 Aprile 2023

Già potenziale scalatore dell’Everest e navigatore dell’Artico, l’avventuriero inglese attraversò a piedi la Calabria a fine anni ’60. E per poco non incappò nella retata di Montalto. Fu l’ultimo visitatore romantico della regione, sulle orme di Craufurd Tait Ramage e Norman Douglas

James Maurice Scott: un suddito di Sua Maestà Britannica in Aspromonte. Oggi non farebbe quasi notizia, come tutte le presenze anglosassoni nell’era del turismo di massa.

A fine anni ’60 le cose erano diverse.
La Calabria affrontava una transizione importante e sofferta verso la modernità. E uno come Scott, che ne attraversò a piedi le parti interne, poteva fare strani incontri e vivere qualche avventura ancora più strana.
Per lui tutto questo non era un problema: infatti, era un esploratore di lunga esperienza.
Che volte che fosse la ’ndrangheta per uno come Scott?

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James Maurice Scott

James Maurice Scott in Calabria prima di Montalto

«C’erano jeep piene di carabinieri armati dappertutto», racconta l’esploratore nel suo diario.
E prosegue, con tono divertito: «Era stato allestito quello che appariva a tutti gli effetti un quartier generale con le antenne radio e tutto il resto, mentre un elicottero ci girava letteralmente intorno». Di più: «Ero l’unico uomo disarmato e non in uniforme nel raggio di diverse miglia».
Qualche tempo dopo, Scott apprende il motivo dello spiegamento di forze: «I carabinieri avevano ricevuto una soffiata sul fatto che la Mafia siciliana e quella locale avrebbero tenuto una specie di meeting sull’Aspromonte».
Non può mancare, a corredo, un tocco di ironia british: «Non posso fare a meno di confessare che io stesso avrei tanto desiderato d’essere arrestato. Avrei potuto tenere banco per anni con quella storia». Già: «Ero rimasto deluso anche perché ero stato già arrestato un’altra volta sui Pirenei». Evidentemente, le Forze dell’ordine italiane erano di tutt’altra pasta rispetto a quelle della Spagna franchista.

L’appostamento

Scott non è un mostro di precisione sulle date e nella descrizione dei luoghi. Ma due elementi di questo racconto sono certi.
Il primo: James Maurice Scott arrivò sull’Aspromonte nell’estate del ’69. Il secondo: in quell’estate le Forze dell’ordine tentavano in effetti di stringere il cerchio.
Tutto lascia pensare che l’esploratore britannico si sia imbattuto in uno di quei tentativi di retata, coordinati dal questore Emilio Santillo, che avrebbe fatto il colpo grosso qualche mese dopo, con la retata del summit di Montalto, condotta con meno uomini (solo ventiquattro poliziotti) e mezzi.

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Il questore Emilio Santillo

Il summit di Montalto

Il summit di Montalto è in parte una leggenda metropolitana, perché il processo che seguì al blitz si ridusse a poca cosa.
E si sgonfiò in appello con assoluzioni importanti.
Eppure le premesse erano golose, almeno per gli inquirenti e per i cronisti.
Infatti, al megaraduno avrebbero partecipato i capibastone della ’ndrangheta di tutta la Calabria, ad esempio Antonio MacrìMico TripodoGiovanni De Stefano e Antonio Arena di Isola Capo Rizzuto.
Più due big della destra, allora extraparlamentare, ma prossima a importanti conati eversivi: Junio Valerio Borghese e Stefano delle Chiaie.
Non a caso, nell’ordine del giorno del summit c’era l’ipotesi di allearsi con l’estrema destra, che all’epoca era in prima fila nei moti di Reggio.

Dal summit alla guerra di ‘ndrangheta

Giusto due suggestioni per gli amanti dei “Misteri d’Italia” e delle relative dietrologie.
L’ipotesi di alleanza con l’estrema destra, che in parte si realizzò, fu uno dei punti di rottura degli equilibri mafiosi e portò alla prima, terribile guerra di ’ndrangheta.
Inoltre, il fremito eversivo destrorso prese corpo per davvero: ci si riferisce all’operazione Tora Tora. Ovvero al tentativo di golpe ideato da Borghese. E sul ruolo di Delle Chiaie e della sua Avanguardia nazionale c’è una letteratura corposissima.
In tutto questo, resta una domanda: cosa ci faceva Scott in Aspromonte in quello scorcio di fine anni ’60?

Al centro nella foto, Junio Valerio Borghese

James Maurice Scott l’esploratore di Sua Maestà

Tornato in Inghilterra, Scott affidò il suo diario di viaggio all’editore Geoffrey Bles, il quale ne ricavò un volume simpaticissimo, stando agli addetti ai lavori, intitolato A Walk Along the Appennines e uscito nel ’73.
Il libro non è mai uscito in Italia. Solo di recente, Rubbettino ha tradotto e pubblicato la parte calabrese del viaggio di Scott, col titolo Sull’appennino calabrese.
Ma chi era James Maurice Scott? Le sue biografie danno l’idea di un folle geniale.
Figlio di un magistrato coloniale, Scott nasce in Egitto nel 1906, si laurea a Cambridge e poi si dà alla sua vera passione: la vita spericolata.
Le sue bravate sono epocali: nel’36 si propone di scalare l’Everest, ma è escluso per un soffio dal corpo di esploratori britannici. Ma si rifà in guerra, durante la quale è istruttore dei corpi speciali. E gli resta un primato: l’esplorazione del circolo polare artico, per cercare un collegamento rapido tra Gran Bretagna e Canada.
Poi, nel ’69, praticamente a fine carriera (sarebbe morto nell’86) decide di attraversare l’Italia a piedi. Ma, dopo questo popò di esperienza, il Belpaese per lui è la classica passeggiata…

Un’immagine di Reggio Calabria durante i moti

James Maurice Scott, una volta varcato il Pollino
diventa l’ultimo dei viaggiatori britannici che hanno girato la Calabria in epoche improbabili, con mezzi di fortuna o addirittura a piedi. È il caso di citarne due assieme a lui: Craufurd Tait Ramage (che ci visitò nel 1828) e Norman Douglas.
Zaino in spalla, bastone in mano e pipa in bocca, Scott ha attraversato l’Italia dalle Alpi a Reggio.
E si è divertito non poco, soprattutto nel nostro entroterra, dove allora iniziava lo spopolamento. Infatti, nella parte finale del suo viaggio, l’esploratore di Sua Maestà Britannica, racconta aneddoti gustosi e spara sentenze originali e, a modo loro, “affettuose”. Ne basta una sulla Sila.
Dopo aver paragonato i paesaggi montani calabresi a quelli norvegesi o britannici, Scott spara un giudizio fulminante sulle montagne che sono diventate sinonimo di Calabria: «La Sila non è intrinsecamente italiana, e se imita altre terre tende a farlo meno bene». Una boutade in linea col personaggio.