Stefano Rolando su carta degli intenti del PD: “Bene, ma manca la centralità della cultura imprenditoriale nel quadro dello sviluppo”

del 3 Agosto 2012

Milano, 2 agosto 2012
La “carta degli intenti” del PD ispirata a “buona politica e riscossa civica” al vaglio dell’autore de “La buonapolitica”

La presentazione della “carta di intenti”, redatta dalla segreteria del Partito Democratico allo scopo di chiarire la visione con cui alleanze e obiettivi in vista delle prossime elezioni debbono poggiare su principi dichiarati, sta aprendo un naturale dibattito. Il documento è ispirato – come è scritto nel primo capitolo sulla “Visione” – al principio secondo cui “buona politica e riscossa civica procedano affiancate”. Per questo abbiamo posto a Stefano Rolando, professore di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica e politica all’Università Iulm di Milano e autore del recente libro La buonapolitica, edito da Rubbettino in cui rielabora proprio il progetto di “riscossa civica” (a cui ha fortemente contribuito nel corso delle elezioni amministrative milanesi che hanno portato al successo di Giuliano Pisapia, che è – con il ministro Fabrizio Barca – prefatore del libro), alcune domande.


Trova coerenze in questa “carta”  con le argomentazioni e le proposte del suo saggio in materia di “buona politica”?

Lo scopo di questa “carta” è quello di posizionare la bussola per la fase di approccio al dopo-Monti, cioè la fase elettorale. Tendenzialmente gli italiani sono vaccinati sulle promesse elettorali, quasi sempre generiche, non vincolate ad analisi di spesa, non sottoposte a controllo di attuazione. Però va riconosciuto che, anche nella sua genericità, un documento in questo momento da parte del partito che ha, pur in una continuata alta propensione all’astensione dei cittadini, il favore maggioritario, è un atto di responsabilità e un contributo alla discussione di merito. Essendo essa rivolta più al sistema politico che ai cittadini è evidente lo sforzo di dire e non dire, per favorire alleanze, per cucire in forme accettabili coalizioni che sono sempre difficili. Ma proprio in questa cornice – come scrive bene questa mattina sul Corriere Michele Salvati – essa è una “buona sintesi retorica di utile lettura”.

 

Quali sono i punti di sintonia con le proposte che lei avanza nel recente saggio, che sarà discusso, tra l’altro, proprio al festival dell’Unità a Siena il 25 agosto?

La sintonia principale è sullo spirito ispiratore del rapporto tra democrazia e governo: “usare il  consenso per governare bene, non governare per ottenere consenso”. In sostanza il principio di superamento della grave fase di populismo che ha caratterizzato la seconda Repubblica e che ha marginalizzato il rapporto tra responsabilità dei cittadini e responsabilità degli eletti.

 

E i punti di debolezza?

Rispetto al trattamento della “riscossa civica” ho provato a comprendere nel mio saggio la vicenda elettorale di Milano e poi del turno amministrativo recente in varie città come un patto tra partiti e cosiddetta “società civile” per considerare quest’ultima non come ostile alla politica ma come capace di fare politica, quindi per immaginare soluzioni di confronto e collaborazione, non più in un regime di delega integrale. Qui nella “carta” non vi sono cenni sostanziali a questo laboratorio. Inoltre ho tenuto sempre lo sguardo attento alla dinamica sociale regolata dalla battaglia per competere e per lo sviluppo. È vero che vi sono molti cenni nella “carta” al tema di agganciare la ripresa ai profili di equità, ma non c’è centralità di visione dell’impresa e della cultura imprenditoriale nel quadro dello sviluppo, nascondendo anche la parola “impresa” nei titoli sotto la voce “sviluppo sostenibile”. Tutto il lessico della tradizione di sinistra (lavoro, democrazia, diritti, uguaglianza, eccetera) ha diritto di titolazione. Fatta la scelta dell’alleanza con Vendola credo che il PD dovrebbe fare molta attenzione a rassicurare ceti produttivi e volontà di investimento in Italia.

 

E i punti, infine, che potrebbero migliorare la formulazione anche grazie ai dibattiti estivi che sono annunciati con larga partecipazione in tutto il paese?

Io ho apprezzato il punto fermo sulla priorità all’Europa. Dopo che in Italia si è dato spazio a entropie, provincialismi e ipocrisie sulle responsabilità della crisi, qui c’è un segno di chiarezza, con la giusta segnalazione del merito di Mario Monti di avere operato per una preziosa rilegittimazione del paese. Ma quale Europa? Con quale prospettiva di statualità? In quale rapporto con la necessaria rivalutazione del ruolo delle autonomie territoriali? C’è un cenno agli “Stati uniti d’Europa” su cui si può lavorare. E ancora tre punti: autoriforma dei partiti (troppo timido l’approccio); recupero della priorità scuola-università (il cenno è a un “piano straordinario” su cui è necessario disvelare qualche punto); nord-sud (troppa tranquilla riproposizione di generici schemi unitari a fronte di una crisi diventata esplosiva e che richiede, proprio a un partito nazionale, creatività di alleanze innovative per evitare inquinamenti e derive localistiche). 

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