Luca Diotallevi: la laicità è una religione?

di Roberto Rossini, del 2 Gennaio 2014

Luca Diotallevi

La pretesa

Quale rapporto tra vangelo e ordine sociale?

Da Benecomune.net

Come i precedenti, anche questo lavoro di Luca Diotallevi ci costringe a fare i conti con le nostre più radicate convinzioni. L’autore le mette alla prova: alla fine della battaglia se ne può uscire vincitori o vinti, ma certamente diversi da prima. Questa volta la provocazione arriva su uno dei capisaldi dei cattolici impegnati in politica, ovvero la laicità. Di solito sono due i modelli cui fare riferimento, quello francese della laicità (che separa nettamente il pubblico dal privato, facendo coincidere il pubblico con la politica e poi con lo Stato) e quello americano della libertà religiosa, che pone esattamente questo principio a presiedere lo spazio pubblico, evitando di consegnare tutta la politica allo Stato (ammesso che tale concetto – in forma non troppo debole – si possa sviluppare…).

Nel primo modello – che ci pare poco amato dall’autore – i poteri politici si separano dai poteri religiosi sacralizzando se stessi (la laicità non è alternativa al sacro ma al santo). Pertanto la laicità diventa secolarizzazione per sostituzione: si sostituisce un presunto primato del religioso con un reale primato del politico. In particolare col primato dello Stato: un vero problema oggi, dato che lo Stato manifesta una persistente crisi e rischia di trascinare con sé la politica e lo spazio pubblico.

Ma allora, quale, tra i due modelli, è oggi più adeguato a sostenere il bene comune? Quale modello di città? Quale rapporto tra Vangelo e ordine sociale? Vi lasciamo il gusto di battagliare con Diotallevi, nella sua precisa opera di scardinamento (anche con citazioni e richiami assai colti) del modello della laicità. Interessante, ad esempio, la rilettura di una equivoca concezione dell’autonomia delle realtà temporali, per arrivare a scavare nelle profondità della differenza tra ordine naturale e storia, come espressione della condizione tipica del saeculum.

Altrettanto interessante risulta la rilettura della città di S. Agostino, che permette di distinguere tra la (poliarchica) civitas romana e la polis greca. Nel modello della laicità i corpi intermedi sono presenti in gabbie, come negli zoo. Nel modello del saeculum – che non assume alcuna pretesa di perfettismo istituzionale, politico o sociale – sono invece uno dei poteri presenti in un’arena non fintamente agonistica. La presenza o meno dello Stato (state societies o stateless societies) continua a rappresentare la condizione di fondo.

Insomma il libro merita di essere letto, anche se non è di facile lettura. Ma soprattutto meriterebbe di essere discusso. Nell’agorà pubblica, quella digitale, andrebbe benissimo.

Di Roberto Rossini

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