Con occhi di bambina (Il Quotidiano della Calabria)

del 16 Settembre 2013

Da Il Quotidiano della Calabria del 15/09/2013

L’ unico modo per sopportare ” la vita che ti sta addosso come un macigno è viverne un’altra»: è una frase-chiave contenuta nel romanzo di Annarosa Macrì, edito da Rubbettino, “Da che parte sta il mare” (pag. 202 – euro 12), che qui presentiamo in anteprima proponendovi due brani che ne estraiamo. Intanto passano gli anni e la piccola protagonista, sballottata ogni anno in una città diversa e così impossibilitata a mettere radici e a concludere le storie di relazioni umane che ogni volta avviava e poi era costretta a lasciare incompiute, ovunque cerca il mare. Che da piccola c’era sempre, da tutte le parti, e rappresentava, esso sì, le sue radici, il suo approdo, il suo punto fermo: nonostante assai improbabile come punto fermo possa essere concepita un’entità fatta di acque in perenne movimento. E la madre ogni volta le dice: il mare c’è, tu non puoi vederlo perché è lontano, ma il mare è sempre lì, è in ogni posto, in ogni città, solo un po’ più lontano.
Una pietosa bugia detta a una bambina, ma anche in fondo una verità. Gli occhi dellabambina guardano il mondo, e lo raccontano e lo interpretano come lo vedono. Quello del passato, che riaffiora con i ricordi dei grandi, e sa di storia filtrata e reinterpretata attraverso le lacrime, i sudori e i sorrisi della gente: la guerra, con gli sfollati che si rifugiano in campagna in cerca di salvezza da bombardamenti; il terremoto del 1908, quello che distrusse Reggio e Messina, e che riecheggia tragico e solenne nei racconti della nonna. E poi le storie del presente, che invece sono quella della bimba che impara a nuotare: e ci riesce, sì, ma a costo del trauma di sentire che le braccia del padre l’hanno abbandonata per farle superare la paura. E quell’azione l’ha sì indotta a tirare fuori la capacità di nuotare che sta inscritta dentro ciascuno dei nostri corpi, ma anche a provare drammaticamente la sensazione dell’abbandono, al punto da apprendere una lezione che ti segna per sempre,
che nelle braccia degli adulti non devi abbandonarti proprio mai. Scorre il romanzo attraverso l’infanzia della protagonista; e con lei la storia: l’avvento della televisione, ad esempio. Ma poi soprattutto le piccole personali storie di formazione: dall’incontro col guardone al rapporto tormentato colprete e col catechismo; dalle amiche alla maestra, fino al gioco che ella non ha mai davvero saputo condividere, indotta come è stata dalla vita ad essere subito grande. Ben presto però la chiave della narrazione si coglie nel rapporto fra la bambina e suo padre. Che, con le sue “malinconie”, con le sue scelte impopolari non condivise dal parentado e del tutto perdenti,ndagli altri, e persino dalla figlia maggiore, viene progressivamente assunto come uno squilibrato, un folle. E in cui invece la bambina che narra, man mano che approfondisce e riconosce i motivi che lo avevano indotto a compiere le scelte che ha compiuto, riconosce non solo un uomo buono, un padre straordinariamente affettuoso, ma un eroe civile. Su questo non mi soffermo, perché la storia va gustata e bisogna evitare di dire troppo. Ma non c’è dubbio che si tratta di un romanzo che offre molti stimoli, molti spunti e diverse occasioni di ulteriore riflessione.

DI FRANCO DIONESALVI

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