“Da circa ventotto anni sono troppo occupato a scoprire anch’io un posto fantastico, magico, selvaggio e fiero. È quello dove sto: la Calabria” (Il Foglio)

del 14 Settembre 2012

Da Il Foglio – 13 settembre 2012
Sms di Enzo, amico calabrese che vive a Napoli: “Sto in un posto fantastico, magico, selvaggio e fiero, dove tu impazziresti di gioia. Ti ho pensato lungo le strade della Corsica. Se non ci sei stato vienici di corsa. Abbracci. Enzo”.
Mia risposta: “Un giorno forse, o in un’altra vita. Da circa ventotto anni sono troppo occupato a scoprire anch’io un posto fantastico, magico, selvaggio e fiero. È quello dove sto: la Calabria. Fatti vivo. Francesco”.

Francesco Bevilacqua: avvocato di mestiere, dirigente del WWF per militanza, giornalista e scrittore per passione ma soprattutto percorritore in lungo e in largo delle montagne calabresi. “Se faccio qualche piccola follia (sono queste le mie tentazioni irresistibili), partendo in ore antelucane, sobbarcandomi, normalmente, mille metri di dislivello in salita (ma sono arrivato anche a duemila), otto o nove ore di fatica (ma ho raggiunto anche le dodici, beccandomi le peggiori intemperie, non è per misurarsi con niente né per dimostrare niente a nessuno. Lo faccio per puro piacere! Se volete per divertimento!”.

Lo stesso divertimento di Norman Douglas, che però era inglese: un eccentrico e colto capostipite di quella genia che avrebbe poi dato frutti come i Claude Lévi-Strauss e i Bruce Chatwin. Con la sostanziale differenza che, all’inizio del Novecento, i suoi tristi tropici e le sue vie dei canti se li andò a cercare, invece che in Australia, in Patagonia o in Amazzonia, proprio tra Aspromonte, Sila, Pollino e Serre, scoprendo ancor prima di Fernand Braudel che sono i monti l’altra faccia del Mediterraneo. “Leggo e rileggo il suo ‘Vecchia Calabria’ (titolo originale ‘Old Calabria’) da una trentina d’anni e da quel libro il vecchio vizioso (e bizzoso) continua a dirmi cose nuove”. Quel libro di Douglas, uscito a Londra nel 1915 e accolto da recensioni entusiastiche, è diventato un vero classico. E a ormai quasi un secolo di distanza, continua a essere la pietra di paragone cui Bevilacqua cerca di confrontare la New Calabria da lui percorsa “alla Douglas” (“Credo d’aver capito che il Nostro amasse anche lui sfiancarsi camminando a piedi, penetrare nei recessi più riposti delle montagne calabre senza altro ausilio se non le gambe e forse un mulo o un asino per portare libri e vettovagliamento”). Per un atto d’amore per quella terra, per indicare un possibile percorso di sviluppo, ma soprattutto per riscoprire se stesso e le proprie radici nello spirito dei luoghi. Tra memorie di greci e briganti; vestigia di antiche religiosità paniche; avanzi di industrializzazione borbonica e sfruttamenti moderni; anche la sgradevole onnipresenza di una maleducazione moderna però mescolata a residui di vizi arcaici e risentimenti antichi, ma compensata dalla contemplazione di paesaggi vertiginosi e straordinari, miracolosamente dimenticati dal tempo. L’invito finale è: “L’avventura è a sud”. “È ovvio che se si pensa solo in termini di Himalaya e Karakorum, di Ande, Patagonia, Alaska, Amazzonia, ecc, alpinismo e viaggio d’avventura potrebbero apparire ripetitivi: tutti vanno da quelle parti e fanno, più o meno, le stesse cose. Del resto, agenzie di viaggio, canali televisivi e riviste specializzate ‘vendono’ solo quei luoghi. Ma, proprio questi miei racconti – che sono

solo una piccolissima parte dei viaggi vissuti nella natura calabrese, anche sulle orme di Norman Douglas – dimostrano quanta avventura sia ancora disponibile vicino a noi, a poche ore d’auto dalle nostre città, dai nostri paesi, a basso costo e ad altissima remunerazione”. “E allora cos’è il vero viaggio d’avventura se non guardare con occhi nuovi i mille luoghi sconosciuti e dimenticati delle montagne italiane e, in particolare, di quelle, ancor più misconosciute, del sud?”.

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