La ricetta populista di casa Le Pen (Lettura.Corriere.it)

di Antonio Carioti, del 5 Maggio 2015

Da Lettura.Corriere.it

Per molti anni dagli elettori francesi erano arrivate solo cocenti delusioni per il Front national (Fn) di Jean-Marie Le Pen. Percentuali da prefisso telefonico, come si dice da noi. Poi, dopo qualche avvisaglia a livello locale, il boom. Alle elezioni europee del 1984 la lista della Fiamma tricolore (mutuata dal Msi italiano, in seguito rivista e stilizzata) raggiunge d’un colpo l’11 per cento e poi diventa una presenza costante e rilevante nel panorama politico. Le Pen arriva al ballottaggio contro il presidente uscente Jacques Chirac nel 2002. Sua figlia Marine non ce la fa, ma ottiene più voti del padre, il 17,9 per cento, nelle presidenziali del 2012. E alle europee dello scorso anno, tre decenni dopo il primo acuto, il Fn vola al primo posto tra i partiti francesi, con circa un quarto dei voti espressi.
Tutta la vicenda è ripercorsa con attenzione nel saggio di Nicola Genga Il Front national da Jean-Marie a Marine Le Pen (Rubbettino), un libro che non si limita a esporre i fatti, ma si misura con le diverse interpretazioni, giungendo alla sorprendente conclusione che in Francia «la differenza tra destra radicale e destra moderata appare solo di grado e non di natura», perché in fondo il Fn «esprime un messaggio residuale rispetto a quello neoliberale». Soltanto il meccanismo spietato del sistema elettorale uninominale a doppio turno, non certo «una diversità di orientamenti politico-culturali», avrebbe impedito la creazione «di un’organica alleanza a livello nazionale».
Eppure gli scambi di personale politico o i vari tentativi della destra neogollista, specie con l’ex presidente Nicolas Sarkozy, di rincorrere l’elettorato del Fn non sembrano sufficienti a giustificare questo giudizio. Intanto perché la rilevante scissione organizzata da Bruno Mégret nel 1999 contro l’immobilismo di Le Pen, nel tentativo di attuare «una strategia di apertura offendo il sostegno del Fn alla destra», si è rivelata un totale fallimento, di cui Genga non approfondisce le ragioni. E poi perché anche Marine Le Pen, che senza dubbio sta rinnovando l’immagine del partito fino al punto di entrare in contrasto con il padre, ha colto i suoi successi puntando, come osserva lo stesso Genga «all’autosufficienza del Fn dalle alleanze» e al superamento del «falso bipolarismo» tra socialisti e neogollisti.
Insomma, l’isolamento sembra giovare molto più che nuocere ai lepenisti: conviene loro accentuare più che attenuare le divergenze con la destra liberale. E ciò avviene probabilmente perché il Fn, all’origine forza di estrema destra (Genga preferisce parlare di «destra radicale» per rimarcarne la distanza dal neofascismo incallito) è venuto con il tempo assumendo connotati sempre più prossimi al populismo anti-establishment che dilaga in gran parte d’Europa. Lo sottolinea Marco Tarchi nel libro Italia populista (Il Mulino), in cui riporta alcuni passi eloquenti dell’appello lanciato da Jean-Marie Le Pen dopo aver raggiunto il ballottaggio nel 2002.
Genga tratta la questione in un capitolo del suo saggio e scrive che «la retorica nazional-populista è il metodo di aggregazione del consenso più congeniale» al Fn. Ma non si tratta solo di retorica e di metodo. Parliamo di sostanza politica. In un clima di montante sfiducia dei cittadini verso la classe dirigente, con il conflitto sulla moneta unica e sull’austerità al centro dell’arena, Marine Le Pen, in parziale continuità con il padre, ha confermato con successo la vocazione populista e antieuropea che fa del suo partito un fiero avversario della globalizzazione capitalista e delle sue ricadute, tra cui rientra la stessa immigrazione dal Terzo Mondo. Ciò colloca il Front national certamente a destra, ma tra coloro che più inveiscono contro le èlites finanziarie, quindi distante dalle idee neoliberali forse ancor più che dal socialismo democratico.

di Antonio Carioti

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