Storie di donne, letteratura di genere/ 439 (ladigetto.it)

di Luciana Grillo, del 4 Agosto 2022

Rossella Pace

I liberali non hanno canzoni

Maria Giulia Cardini. Storia di una partigiana

Maria Giulia Cardini, donna straordinaria, esempio d’impegno, cultura e capacità di vedere «oltre» sostenendo l’avanzamento della condizione femminile, la promozione dei diritti umani, l’accettazione delle diversità.
Questi, lo sappiamo bene, sono i principi del Soroptimist, che Maria Giulia – nata in quel 1921 in cui si fondò il primo club Soroptimist negli U.S.A. – ha conosciuto direttamente, come socia del club di Novara e come fondatrice, alcuni anni dopo, del club Alto Novarese.
Questi principi hanno segnato la sua lunga vita: Maria Giulia si è impegnata nella Resistenza, svolgendo funzioni di collegamento tra il Comando militare di Torino e il C.L.N. di Novara e Omegna, fino all’arresto nel maggio del ’44, quando fu deferita al Tribunale speciale, condannata e consegnata ai tedeschi.

Liberata in seguito allo scambio con la figlia del Console di Germania a Torino, diventò capocellula del Comando centrale del S.I.M.N.I.
Con la fine della guerra riprese a studiare, lasciò Ingegneria per Fisica, insegnò con passione spostandosi, per seguire il marito, a Torino e poi a Milano.
Ma non si limitò alle discipline scientifiche: fondò Agorà, rivista di letteratura, musica e arti; si dedicò alla politica e fu la prima donna eletta nella Giunta comunale di Orta; fu appassionata raccoglitrice di funghi; ospitò svariati animali nel suo giardino, dall’asinello sardo all’agnellino Birin.
E a chi le chiedeva quale fosse l’aggettivo più adatto a lei, Maria Giulia rispondeva: «Ribelle!»

Qualche anno fa, in occasione dell’intitolazione di un giardino a M. Giulia Cardini, scrissi un breve articolo per «Soroptimist News – La voce delle donne».
Ora è stata pubblicata una biografia, molto attenta e particolareggiata, che mi riporta a questa figura di donna indipendente, libera, pronta a dare anche la vita in nome della libertà e della democrazia.
Da queste pagine, grazie alla ricca documentazione, emerge il carattere di questa donna indomabile, che ha cambiato nome più volte e si è mossa in un mondo prevalentemente maschile.

Il suo nome di battesimo era Giuseppina Maria, ma non piaceva alla «titolare», che chiese di essere chiamata Maria Giulia, anche se sui documenti quel «Giuseppina Maria» restava.
Dai compagni resistenti era chiamata «Ciclone», firmava le sue lettere con il nome di Giuliana Carli o di Toni, per l’esercito americano era il tenente colonnello Antonio.
E quanto al mondo maschile della Resistenza, va sottolineato che «venne interpretata per molto tempo essenzialmente come una esperienza maschile.
«Le donne che vi parteciparono, nella loro differente appartenenza politica, furono molte di più di quante siano state poi riconosciute come partigiane, e il loro ruolo è stato a lungo taciuto, o addirittura rimosso… le donne, numerosissime nelle realtà di base, raramente presero parte ai processi di consultazione e decisione, e ancora più raramente furono cooptate nelle leadership… la partecipazione delle donne alla Resistenza viene pregiudicata alla capacità femminile di assolvere delle funzioni… tradizionali e subalterne, persino quando si svolge nella otta armata, perché il vero protagonista della lotta partigiana non può che essere maschio».

Quando si preparavano le parate dei partigiani dopo il 25 aprile, Togliatti suggerì: «È meglio che le ragazze non sfilino, il popolo non capirebbe»; il popolo avrebbe pensato che le ragazze che abbandonano le proprie famiglie e dormono in tende con i maschi «sono di piccola virtù».
Maria Giulia fin da bambina respirò un’aria liberale, il padre si rifiutò di prendere la tessera fascista, l’antifascismo di famiglia era una sorta di antifascismo culturale, «era un sentimento di insofferenza…pensavano che il fascismo fosse una pagliacciata, quindi non una cosa così importante da dover essere contrastata con un’opposizione attiva: era impossibile da immaginare per loro che durasse così tanto».

La vita di Maria Giulia è stata ricca, vivace, impossibile per me riassumere le vicende legate alla sua appartenenza alla Resistenza, la sua prigionia, gli spostamenti con i mezzi più vari da paese a città («…io il viaggio lo faccio sotto a dei giornali…»), i giorni trascorsi in un sottotetto.
Bisogna leggere le pagine di Rossella Pace, comprendere le scelte di Maria Giulia, universitaria STEM ante litteram, partigiana per cui a volte si disponeva «un servizio di controllo per la Ciclone. Auguriamoci che lavori con la testa e renda qualcosa».

Alla fine della guerra, i meriti di Maria Giulia furono riconosciuti prima dagli Stati Uniti, d’altra parte «come avrebbe potuto l’Itali all’epoca riconoscere il merito di una militare, non contemplando nemmeno la sua presenza all’interno dell’esercito? A quell’indipendenza conquistata sul campo dalle donne nella guerra di Resistenza non corrispondeva ancora nemmeno il diritto di voto».
Solo nel 1959 lo Stato Italiano le assegnò una Medaglia d’argento. Intanto Maria Giulia aveva ripreso gli studi, si era laureata in Fisica, aveva messo su famiglia, cominciò a insegnare, si trasferì a Milano, «città che detestava cordialmente» dove si sentì sempre estranea.
A Orta tornò, per non allontanarsene più, negli anni ’60.

Nelle ultime pagine, troviamo una imponente appendice; le note sono numerose e chiarificatrici; le fotografie sono poche, ma interessanti; completo l’indice dei nomi.
E quanto al titolo… si tratta della curiosa domanda di una compagna di cella.