Il gregge smarrito: Chiesa e società nell’anno della pandemia (di G. De Rita) (loccidentale.it)

di Giuseppe Rita, del 27 Luglio 2021

Essere Qui

Il gregge smarrito

Chiesa e società nell'anno della pandemia

Pubblichiamo un brano dell’introduzione di Giuseppe De Rita al volume “Il gregge smarrito”, curato dall’associazione “Essere Qui” per le edizioni Rubbettino, che raccoglie dati e analisi sulle quali riflettere.

(…) Noi fedeli cattolici ci siamo ritrovati una sera della primavera 2020 con le chiese chiuse, senza possibilità di culto e preghiera quotidiana; senza conforto sacramentale (nella Messa o in un funerale); senza sostegno emotivo della comunità ecclesiale di appartenenza. In una solitudine quasi obbligata, decisa drasticamente da un DPCM cui le autorità ecclesiali, prese alla sprovvista, aggiunsero un allineamento di particolare freddezza usando il termine “interdetto” per il nostro ingresso in chiesa.

A questa estraneazione obbligata della vita ecclesiale si aggiungeva comunque un’irrefrenabile paura collettiva, quale non si riscontrava dai primi anni ’40. Durante la guerra c’era la paura di una minaccia fuori dalla nostra capacità di controllo (le bombe) e ci si poteva solo raccomandare a Dio con preghiere, voti e invocazioni; nella pandemia invece abbiamo avuto una totalizzante paura del contagio e dei rapporti con le altre persone. anche per volontà personale e non solo per obbligo di legge ci siamo isolati nella sfera personale, consumando quotidiane dosi di comunicati ufficiali, di conferenze stampa e di dichiarazioni volanti delle autorità competenti, scientifiche o politiche che fossero.

In questa combinata solitudine (quella imposta dall’alto, dalle autorità politiche e scientifiche e quella scelta dal basso, in un impaurito isolamento) abbiamo avuto in modo evidente, e per noi fedeli drammatico, la sensazione che la Chiesa non c’era.

Conosciamo tutti le obiezioni a questa grave affermazione. Si obietta che nel dramma dell’epidemia comunque la Chiesa c’è stata: c’è stata con i suoi preti (ne sono morti quasi quanto i medici); c’è stata con migliaia di iniziative di solidarietà; e c’è stata con l’impressiva costante presenza del Pontefice, addirittura diventata “iconica” nelle solitarie uscite in Piazza San Pietro. Ma, pur apprezzando tutto ciò, non si sfugge all’impressione collettiva che nella pandemia, e nel conseguente lockdown la Chiesa non ha avuto ruolo sociale: per colpa della politica statuale, per colpa del primato della scienza, per colpa dell’isolamento da paura, per tante ragioni ci siamo alla fine ritrovati a vivere senza quotidiana vita ecclesiale (caso limite, ma fin troppo visibile, l’assenza da ogni funerale di ogni momento di partecipazione di familiari ed amici).

Chi firma questa breve introduzione ha mal sopportato questo stato di cose. Personalmente mi sono “arrangiato” visto che conoscevo preti che mi mandavano tramite i figli l’ostia per una eucarestia personale e preti che hanno continuato a dire messa quasi clandestinamente e a porte chiuse; ma ho tremendamente sofferto l’assenza, quasi l’irrilevanza della “mia” Chiesa, come soggetto collettivo, come corpo sociale, come struttura organizzata.

Ne ho avuto coscienza “fredda”, e non emotiva, dal fatto che come ricercatore ho ricevuto sollecitazione da imprese e da enti pubblici e privati perché li aiutassi professionalmente a capire cosa stava succedendo e come dovessero scattare vecchie o nuove assunzioni di responsabilità. Mentre ho ritrovato scarsa traccia di un interesse di una qualche struttura cattolica (ecclesiale o di laicato cattolico) ad analizzare ed interpretare la propria inattesa marginalità nelle vicende italiane di questi ultimi diciotto mesi. Mi sono sentito dire “è giusto fare un esame di coscienza per ciò che è avvenuto ma non abbiamo testa e risorse per fare serie ricerche; e le energie disponibili sentiamo di doverle concentrare sulle tante aree di povertà che la pandemia ha rivelato ed accentuato”. (…)