Sbarco sulla Luna: Rocco Petrone, l’uomo del countdown (Corriere della Sera (.it))

di Giuseppe Gaetano, del 17 Luglio 2019

Renato Cantore

Dalla Terra alla Luna

Rocco Petrone, l'italiano dell'Apollo 11

Uno scienziato con la stazza da rugbista: l’uomo del «go» è stato un italoamericano, discreto e lontano dai riflettori, che non ha voluto entrare nella storia

Molta Italia è atterrata sulla Luna, 50 anni fa. Perché a spedire Neil Armstrong sul satellite dei poeti fu Rocco Petrone, e già il nome dice tutto. Un vero figlio del Grande Sogno americano, cominciato come un incubo: nato nel 1926 a New York da poveri italiani emigrati 5 anni prima in Usa dalla Basilicata, rimasto orfano a soli sei mesi del padre (ex carabiniere riconvertito in operaio delle ferrovie), costretto a dimostrare un’intelligenza superiore per battere i pregiudizi sugli italiani ed essere ammesso agli studi in tempo di guerra. C’era lui – un metro e novanta per un quintale di peso – al centro della sala controllo dove sudavano quasi 500 persone, osservando la messa in orbita della navicella.

Sua la voce che iniziò e terminò quel fatidico countdown, sua l’ultima parola su tutto: quel «piccolo grande passo per l’umanità» l’aveva cominciato, tanti anni prima, un italoamericano. Già l’aspetto fisico tradiva le origini lucane di Petrone: «Gli zigomi sporgenti e coloriti, il naso leggermente aguzzo, lo sguardo bonario e acuto, le labbra taglienti, la gestualità». Gli ricordava uno di famiglia a Giuseppe Josca che lo incontrò in Florida, allo Space Center, e che negli anni 70 si recò nel minuscolo centro potentino di Sasso di Castalda, di cui era originaria la famiglia, e dove in suo onore il vecchio “Bar Centrale” della piazza cambiò nome in “Bar Apollo 11”. Petrone lo visitò più volte da giovane, quando non era ancora così impegnato, inviando delle lettere quando gli affari divennero troppo importanti: «Una tribù tra parenti prossimi e lontani, paterni e materni» di quelle tipiche del nostro Mezzogiorno, la descrive il reporter del Corriere in C’era una volta il sud, nel 2003, per Rubbettino. E all’uomo del «go» è dedicato l’ultimo libro dell’editore: Dalla terra alla luna. Rocco Petrone, l’italiano dell’Apollo 11, scritto dal giornalista Rai Renato Cantore, che già nel 2009 pubblicò La tigre e la luna, storia di un italiano che non voleva passare alla storia. Riservato e scrupoloso all’ossesso, per tutti Petrone era infatti “la tigre”: un capo che chiedeva sempre il massimo, perché lo pretendeva anzitutto da sé stesso.

«Proibito sbagliare o, peggio, divagare – cita la presentazione del volume -. Famose le sue sfuriate e le passeggiate per la sala 40 minuti prima del lancio, per controllare che tutti restassero concentrati anche dopo ore di lavoro». Non avrebbe potuto fare altrimenti per compiere un’impresa destinata a superare i limiti dell’uomo, spinto per la prima volta oltre l’atmosfera terrestre, dove mai nessuno era arrivato (e ad avverare il sogno del presidente Kennedy di impressionare l’Urss di Gagarin). Ci voleva uno così per volare nell’infinito, concreto e coi piedi per terra: «La via che conduce alla Luna – diceva – è pavimentata di mattoni, di acciaio e calcestruzzo». Ma sotto la scorza rigida batteva un cuore sensibile: «Una volta interruppe il conto alla rovescia per salvare una coppia di aironi che aveva fatto il nido troppo vicino alla rampa». Una carriera lampo: dai lavori umili per pagarsi l’Accademia di West Point, alla laurea in ingegneria al MIT, alla chiamata al Pentagono al fianco del celebre inventore tedesco Wernher Von Braun. Severo e inflessibile in ufficio, nella vita privata Petrone era un padre affettuoso di 4 figli, avuti da una britannica e chiamati con nomi inglesi, e un uomo di cultura umanistica oltre che tecnologica.

Il libro di Cantore è stato presentato il 16 luglio a Sasso e il 17 a Matera verrà proiettato in anteprima il docufilm che ne è stato tratto, Luna Italiana, prodotto da Istituto Luce-Cinecittà per History Channel. La cornice è Matera vista dalla luna: una settimana di show e allestimenti animeranno la Capitale europea della cultura 2019, fino a domenica 21, per celebrare l’anniversario dell’allunaggio. Passato e presente si fondono nella sua emblematica vicenda umana di cittadino statunitense grazie allo Ius soli, attualizzandola. Dall’entroterra montanaro del suo Dna, al futuristico salto nell’universo dei ricercatori spaziali di Cape Canaveral: il senso del riscatto e del sacrificio delle generazioni passate e quello dei nuovi migranti, oggi che la terra promessa è la nostra. Ma anche uno dei nostri cervelli, che allora come ora non sono diventati profeti in patria, che dalla povertà estrema arrivò a 44 anni a dirigere un’orchestra di 20mila tecnici e astronauti tra interni ed esterni e a gestire budget miliardari. Se fosse cresciuto a Sasso – che leggenda vuole vide per la prima volta nel ’43 da 10mila metri d’altezza, passandoci sopra con una astronave – quale sarebbe stato il suo destino, si chiedeva Josca mezzo secolo fa. E oggi, è poi tanto cambiata la situazione?

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