Politici (e) malandrini (Corriere della Calabria)

di Vincenzo Macr, del 5 Aprile 2013

Dal Corriere della Calabria del 5 aprile 2013

È stato appena pubblicato il nuovo libro di Enzo Ciconte dal titolo Politici (e) malandrini, editore Rubbettino, che ripercorre i rapporti tra politica e ‘ndrangheta dall’Unità d’Italia sino ai nostri giorni. Ne prendo spunto per alcune osservazioni sul tema, che costituisce, a mio avviso, il problema intorno al quale, nei prossimi mesi, si misurerà l’azione di contrasto alle mafie italiane. Non è un caso che già da tempo intorno ad esso si registrino i più aspri contrasti all’interno degli uffici giudiziari, nel mondo politico, tra i commentatori e i giornalisti. In fondo, anche l’attuale, sgradevole, polemica tra llavaglio, Grasso e Caselli ruota intorno all’azione della Procura di Palermo sotto la direzione dei due noti magistrati e successivamente, se è vero che quelle polemiche investono anche Ingroia e con lui l’indagine circa l’ormai famosa trattativa Stato-mafia Anche i fatti che hanno caratterizzato le vicende giudiziarie reggine nascono dall’interpretazione giudiziaria che si intende dare al tradizionale rapporto mafia-politica e costituiscono la riproposizione in chiave calabrese della polemica tutta palermitana (ri)esplosa recentemente. Già il titolo del libro ha richiamato la mia attenzione e quelle parentesi intorno alla congiunzione fanno intendere, a mio avviso, come non si sia più in presenza di un rapporto tra politica e mafia, ma che, sparita la congiunzione, cheti realtà distingueva i due mondi, si possa e si debba ormai parlare di una politica con tratti tipicamente mafiosi e nello stesso tempo di mafiosi che entrano in politica direttamente, senza mediazioni esterne. Una reductio ad umun, la cui pericolosità per le sorti stesse della nostra democrazia è appena il caso di segnalare, e sulla quale si dovrà tornare più oltre. Se si volesse individuare il momento storico che ha visto la caduta della congiunzione disgiuntiva, occorre guardare ai primi anni 90, alla fase post-stragi. Da quel momento ha inizio la nuova fase della mafia italiana, in tutte le sue declinazioni territoriali.
Fa eccezione solo la camorra, ancora attraversata da guerre senza fine per il dominio del territorio e del mercato della droga, ma solo quella napoletana, perché quella casalese è perfettamente in linea con le consorelle siciliana e calabrese. Se si fa caso, si vedrà come da allora non ci sia più stato un omicidio “eccellente”, in danno di esponenti politici o istituzionali, nessuna nuova guerra di mafia, se non per aggiustamenti locali necessari alla stabilizzazione dei rapporti di forza, e questo non è frutto del caso, ma di una evoluzione forse irrevocabile verso la progressiva cooptazione delle élites mafiose entro il sistema di potere politico-economico-istituzionale. I processi, soprattutto quello che inizierà a Palermo, daranno una risposta giudiziaria alle ipotesi di trattativa formulate dagli inquirenti, anche se sentenze passate in giudicato (tra tutte quella della Corte d’Assise di Firenze sulle stragi del ’93) hanno affermato che la “trattativa” ci fu e che di essa vi è prova. Nel suo libro Ciconte riferisce il delicato passaggio degli anni ’92-’93, sia pure limitatamente alla sola ‘ndrangheta, la quale, come è noto, rifiutò di aderire all’esecuzione del programma stragista di Cosa nostra, ma scelse anch’essa di dare il benservito ai vecchi referenti politici per fornire il proprio sostegno elettorale alla nuova formazione politica di Forza Italia, come risulta provato dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori e dalle conversazioni registrate all’interno degli istituti carcerari. Prima ancora, è bene ricordare, anche la ‘ndrangheta passò attraverso la fase delle Leghe e del sotteso progetto separatista.
Una fase breve temporalmente, presto abbandonata, significativa circa il collegamento con quanto accadeva nel resto del Paese, visto che furono oltre 60 le formazioni leghiste presenti alle consultazioni elettorali de1992 e che molte di esse vedevano infiltrazioni e presenze mafiose e regie massoniche. Quello che sarebbe assai interessante approfondire è il rapporto, il nesso, tra le adesioni ai movimenti leghisti prima e alla nuova formazione politica nazionale poi – tutte di provenienza lombarda – e la successiva, rapida espansione, quasi un via libera, della ‘ndrangheta nelle regioni del nord Italia ed in particolare proprio in Lombardia. Ciconte vi dedica buona parte del suo studio in quanto ravvisa in tale espansione, a mio parere, il carattere nuovo distintivo, dell’attuale fase storica. Non si tratta, più, infatti, di presenze legate alla pratica dei sequestri di persona o al grande traffico di eroina prima e quindi di cocaina, attività nelle quali la ‘ndrangheta operò nelle regioni del Nord negli anni 70 e negli anni 80 e 90 del secolo scorso. ha nuova fase è caratterizzata, invece, dall’inserimento nel settore dell’imprenditoria, delle amministrazioni locali, della politica e, quasi sempre, in una sola direzione politica. In linea si pone anche la poderosa attività di riciclaggio nel settore immobiliare, nella sanità privata, nella grande distribuzione, nella ristorazione e nel turismo. Segue, più di recente, l’inserimento nel settore delle energie alternative, in quelle eoliche in particolare. Sono settori che vanno al di là delle competenze, delle capacità, dei programmi tradizionali della ‘ndrangheta, che presuppongono accordi, collegamenti, sinergie con altri mondi, altri poteri, tra i quali quelli politici sono assolutamente indispensabili. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia (e alla ‘ndrangheta ancora di più) si vince al Nord più che nei luoghi di insediamento tradizionali, ma per rendere possibile questo occorre che il contrasto non segua gli schemi del passato, ma segua e si modelli sul nuovo modo di essere del fenomeno mafioso. Al momento non si vedono segnali incoraggianti in questa direzione.

Di Vincenzo Macrì

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