Mussolini socialista (e romagnolo) che già odiava i «parlamentaristi» (Corriere della Sera)

di Renato Benedetto, del 11 Novembre 2013

Dal Corriere della Sera del 11 novembre

MILANO – Il figlio, irrequieto, di un socialista e di una cattolica. E poi il maestro elementare, il personaggio «strano», come veniva etichettato negli anni romagnoli, il rivoluzionario. Ancora, L’homme qui cherche, dallo pseudonimo usato per gli articoli su La Folla. E il direttore dell’Avanti nel 1912 e del Popolo d’Italia due anni dopo. Ovvero, Benito Mussolini prima che diventasse «duce». Si ferma infatti alle elezioni del 1919 il libro di Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca Il compagno Mussolini, che ripercorre gli anni socialisti del futuro dittatore italiano per poi focalizzarsi su una scelta: quella di abbandonare il «socialismo internazionalista» per il «socialismo nazionalista», che in seguito diventò fascismo. Con una ricca ricostruzione del periodo romagnolo, sin dall’infanzia, di Benito Mussolini. Un territorio che gli autori ben conoscono: Giancarlo Mazzuca, direttore del Giorno e già .a capo del Resto del Carlino, è forlivese di nascita; romagnolo di adozione, invece, Nicholas Falun, giornalista inglese che vive a Predappio. Ripercorrendo scritti e discorsi di Mussolini, si sottolinea come, già aderendo al Psi da «rivoluzionario» e contro i «parlamentaristi», il futuro duce fosse già animato da un disprezzo viscerale sia della democrazia sia del Parlamento (il suffragio universale era «comodo solo a tenere a bada il proletariato»). Farrell e Mazzuca, oltre a scritti e discorsi, citano anche le letture del giovane Mussolini. Dove accanto a Marx e Sorel comparivano la Psicologia delle folle del francese Gustave Le Bon e gli scritti di Friedrich Nietzsche: con quell’idea di «qualità», necessaria per guidare le masse, che può essere garantita solo da una minoranza. Ma se per Mussolini, nel 1910, da bandiera nazionale è uno straccio da piantare nel letame, il nazionalismo sarà rivalutato negli anni a seguire. Perché il motore della rivoluzione deve essere una fede, un coinvolgimento emotivo e spirituale, prima ancora che intellettuale. E questo, per il futuro duce, non poteva che essere la patria. Quando si avvicinò il Primo conflitto mondiale, Mussolini fu sempre più convinto sostenitore dell’interventismo in una guerra vista come «ostetrica della rivoluzione». «Sempre a causa della guerra, si era reso conto di una verità fondamentale: un popolo è più legato alla sua nazione che alla sua classe sociale», si legge. Avvenne così lo strappo con quello che fu il suo partito fino all’espulsione nel 1914 (il Psi che poi divenne un nemico del fascismo, con l’assalto delle camicie nere alla sede dell’Avanti in via San Damiano, a Milano, nel 1919). Poi l’avventura nel nuovo giornale, finanziato, come spiegano gli autori, anche dai servizi segreti inglesi a favore di uninterventismo ín chiave antitedesca. E sono diversi i testi citati in cui Mussolini attacca quella Germania che, negli anni a venire, diventerà l’alleato.

Di Renato Benedetto

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