Buoni belli e superiori. Ma era soltanto un film (il Giornale)

di Pedro Armocida, del 30 Luglio 2014

Da il Giornale del 30 luglio

«Voi intellettuali vi atteggiate tanto, parlate così sofistici, state sempre a analizza’, a critica’, a giudica’ ma lo sa qual è la verità?… La verità è che non ce state a capì più un cazzo… ma da mo’!».
Correva l’anno 1996 e Paolo Virzì in Ferie d’agosto radiografava uno dei vizi capitali d’una certa sinistra, quello dello supposta superiorità morale, addirittura antropologica. Così in questa frase pronunciata dal capofamiglia dei Mazzalupi, gli inferiori che in vacanza armeggiano con l’antenna per prendere anche Canale 5 e Retequattro, si legge tutta la sconfitta della sinistra con la famiglia dei Molino che in ferie non vogliono neppure la corrente elettrica.
Da questo spunto filmico, ma ce ne sono tanti altri, si muove il nuovo libro di Andrea Muniz Quando c’eravamo noi – Nostalgia e crisi della sinistra nel cinema italiano da Berlinguer a Checco Zalone edito da Rubb ettino direttamente in ebook. La modernità e l’ originalità del saggio dello studioso che insegna alla «La Sapienza», sta nel raccontare la crisi della sinistra italiana come in una sorta di melodramma cinematografico che si apre con il trauma “delle lacrime di Occhetto cui fanno da ideale pendant quelle più recenti di Bersani dopo il pastrocchio dell’elezione presidenziale”. Priva ormai di riferimenti certi – il comunismo- la sinistra si chiude in se stessa e crea i propri spauracchi nel tentativo di darsi un’identità effimera. Ecco allora il Moretti di Caro Diraio, quello che “non credo nella maggioranza delle persone, starò sempre a mio agio con una minoranza…” perché, ricorda Minuz, “quel che compatta il gruppo di sinistra, che modella il loro gusto, è in primo luogo il disgusto nei confronti del gusto degli altri”. Così oggi Checco Zalone subisce lo stesso trattamento. Più piace al pubblico più la sinistra lo guarda con sospetto sempre per quella “paura di uscire dalla vocazione minoritaria, di lasciarsi alle spalle la diversità morettiana”
Niente di meglio allora che cercare di (ri)trovare una superiorità morale sulla quale costruire un improbabile futuro. Ecco spiegata la coincidenza della realizzazione in breve tempo di due film su Enrico Berlinguer, Quando c’era Berlinguer di Walter Veltroni e La voce di Berlinguer di Mario Sesti: “Una tentazione irresistibile per gli esercizi spirituali della nostalgia, della compensazione utopica, delle rivendicazioni identitarie in salsa vintage. Della contrapposizione tra “folle oceaniche” e individualismo digitale. Tra l’ “Italia vera”, in canottiera con l’Unità sotto il braccio e l’indifferenza tatuata dei post-italiani di oggi”. Discorso che ci porta naturalmente al “problema” di Berlusconi, il caimano morettiano. Che Roberto Andò in Vial la libertà risolve paradossalmente. Quando il fratello gemello del politico di sinistra interpretato sempre da Toni Servillo si mette a ballare il tango con una simil-Merkel, il suo portaborse “scopre con orrore che la cosa non gli dispiace. Che quasi lo preferisce al grigio segretario del suo Paritto. Ecco il rimosso ancestrale, l’oscena verità, l’incesto inconfessabile. Ecco l’ultimo tabù: un PD con un leader vitale. Un PD che restituisce l’Imu. Un PD con la follia seducente di Berlusconi. L’estasi della politica”.
E poi la tv. Quella commerciale, mai accettata, con una sinistra almeno coerente con il pensiero di Berlinguer che fece la guerra alla tv a colori. Lo stesso Moretti in Palombella rossa continua a guardare al passato nostalgico (il pugno chiuso davanti al Dottor Zivago in TV) anche se l’immaginario televisivo aveva ormai superato quello cinematografico (ma già nel ’75 il capolavoro di Scola C’eravamo tanto amati si era trasformato in “un epitaffio del cinema italiano che fu”). “non mi piace la tv perché involgarisce tutto”, diceva nelle interviste Moretti. Ed eravamo nel 1989. Ma ancora oggi pace non è fatta. Visto lo scandalo “sinistro” di Renzi ad Amici. Certo prima di lui D’Alema aveva cucinato il risotto da Vespa e Fassino partecipato a C’è posta per te. Solo che “era vestito come a un matrimonio o a un funerale” mentre Renzi indossava un giubbotto di pelle nera. Insomma da parte sua c’è almeno il tentativo se non di integrarsi, di ammettere l’esistenza di un’altra parte del paese. Cosa che la sinistra non gli perdonerà mai.

Di Pedro Armocida

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