«Gli stranieri visti come nemici», storie da un’accoglienza (ancora) possibile (Corriere della Calabria)

di Antonio Chieffallo, del 11 Novembre 2022

Vitaliano Fulciniti

Ovunque qualcuno

Storie di condivisione e accoglienza

In “Ovunque, qualcuno” i racconti di dolore e speranza firmati da Vitaliano Fulciniti, già direttore del Centro di accoglienza Sant’Anna

Lo senti parlare e non c’è traccia di polemica politica, risentimento, o una qualsivoglia forma di aggressività. Eppure il tema che affronta nel suo libro “Ovunque, qualcuno”, edito da Rubbettino, è di quelli che, da anni, divide il nostro Paese. Ma Vitaliano Fulciniti è così: più si mostra pacato nelle sue argomentazioni, più le sue ragioni prendono vigore. D’altra parte, la sua attività di Direttore del centro di accoglienza Sant’Anna ad Isola Capo Rizzuto, ha lasciato il segno: «Siamo stati lucidamente folli, semplicemente perché abbiamo preso per mano persone disperate ed abbiamo camminato insieme a loro». Una scommessa che ha ottenuto il sostegno del territorio crotonese: «Superate le prime diffidenze abbiamo potuto contare sull’aiuto di tantissime persone. Grazie a loro siamo riusciti a intervenire per aiutare, ogni giorno, i nostri fratelli e le nostre sorelle». Un lavoro che ha, però, avuto un epilogo amaro: «La mia esperienza si è conclusa con la completa rimozione di quanto avviato ed i miei collaboratori, che avevano sposato questo percorso di accoglienza, integrazione ed umanità, sono stati mandati via. Hanno pagato la condivisione di un modello che ritengo l’unica strada percorribile per il futuro». Nel saggio l’autore non parte da argomentazioni filosofiche, politiche o sociali. Lascia semplicemente parlare le storie lanciando, con estremo garbo, il suo messaggio: «la sofferenza richiede sempre grande rispetto»; «le dinamiche dei flussi emigratori, pur nella diversità dei tempi, sono le stesse», ed infine «non cambia l’atteggiamento discriminatorio nei riguardi degli stranieri, considerati da un’importante fetta del tessuto sociale come il nemico da respingere». Storie, insomma, di uomini e donne, italiani ed extracomunitari attraverso le quali è possibile toccare con mano il fenomeno della immigrazione.
Sono pagine che grondano di dolore, paura, discriminazione, ingiustizia, ma anche forza, determinazione e speranza. Come quelle raccontate da Salvatore Gaetano, ristoratore calabrese di successo in Olanda, che ha dovuto subire sulla propria pelle l’onta razzista: «L’iniziale conoscenza della lingua straniera è coincisa con la dolorosa scoperta dei cartelli che vietavano l’ingresso degli italiani e calabresi nei locali. Un pugno nello stomaco». Emozioni che si fatica a trattenere per la storia di Pasquale: «Arriva diciottenne alla stazione di Strasburgo, ed è costretto ad aspettare ore il suocero andato in ambasciata per aiutare un amico. L’abbigliamento non è adeguato al freddo di allora. Lentamente il gelo si impossessa del corpo fino quasi a fargli perdere conoscenza. Viene salvato da alcuni siciliani che lo aiutano a riprendersi con una bevanda e gli consegnano un cappotto. Sarebbe morto se non ci fosse stato quel gesto di straordinaria solidarietà». Ed ancora il siriano Mohammad Shammout: «È un padre di famiglia che deve affrontare una vera e propria odissea per arrivare in Italia, con momenti talmente drammatici che si stenta a raccontare». Tra gli altri un episodio terribile: «Mohammad viene fermato, insieme ad altre cinquanta persone, dai soldati turchi nel tentativo di arrivare in Europa. Sono stanchi, provati. Vengono obbligati a sedersi a terra. Un giovane si alza per chiedere un’informazione e viene ucciso a bruciapelo con un colpo di pistola in testa». È vita di ogni giorno per quelli che tentano di arrivare in Italia dall’Africa e dal Medio Oriente. Vita che attraversa il passato per ritornare, quasi uguale a se stessa, nei giorni nostri. E Vitaliano Fulciniti, incessantemente, da tre anni, ha indossato i panni del girovago per poterla raccontare nel nostro Paese: «Ciascuno di noi ad un certo punto dell’esistenza imbocca una via definitiva. Per me è questa».