La croce e il filo spinato (L'Osservatore Romano)

di Giovanni Cerro, del 31 Gennaio 2014

da L’Osservatore Romano del 31 gennaio

In un rapporto riservato del gennaio del 1915, il sacerdote svizzero Eugène Dévaud, pedagogista all’università di Friburgo, ricordava i compiti che i delegati religiosi avrebbero dovuto assolvere nei campi di prigionia tedeschi allestiti durante la Grande Guerra, campi di cui era stato il primo visitatore cattolico: oltre alla cura delle anime, era necessario occuparsi della ricerca dei dispersi, promuovere lo scambio di notizie tra le famiglie e i prigionieri, monitorare la spedizione dei pacchi di viveri e di vestiario, verificare le condizioni materiali di vita e la situazione del servizio religioso, garantendo al contempo la fornitura di testi di preghiera e di lettura. Il destinatario del rapporto era il vescovo di Losanna e Ginevra, André Bovet, che proprio in quei mesi aveva dato vita alla Mission catholique Suisse en faveur des prisonniers de guerre, uno dei più importanti esempi di azione umanitaria ispirata al modello del «samaritanato evangelico», di cui parla lo storico Alberto Monticone nel suo ultimo libro, La croce e il filo spinato. Tra prigionieri e internati civili nella Grande Guerra 1914-1918. La missione umanitaria dei delegati religiosi (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, pagine 361, euro 18). L’autore – presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana dal 1980 al 1986 e in seguito deputato e senatore della Repubblica – nota infatti che, accanto al soccorso laico prestato ai prigionieri dalla Croce Rossa Internazionale, un ruolo di primo piano nel sostegno materiale e spirituale dei detenuti fu svolto dalle Chiese cristiane, sia cattoliche sia riforniate, e dai loro delegati.
Il volume di Monticone, frutto di un’accurata indagine archivistica, si sofferma anzitutto sulle iniziative messe in atto dal vescovo Joseph Schulte nella diocesi di Paderborn, dove nel settembre del 1914 furono raccolti in tre campi più di cinquemila prigionieri francesi, inglesi e belgi. Fin dall’inizio, il clero tedesco si mostrò disponibile a collaborare con i sacerdoti francesi internati e nel dicembre dello stesso anno fondò la Kirchliche Kriegshilfe. Durante la guerra, l’organizzazione gestì gli interventi umanitari nei confronti dei prigionieri presenti in Germania, in stretto contatto con la Mission catholique Suisse e l’Ufficio provvisorio prigionieri creato da Benedetto XV. Con il perdurare del conflitto, tuttavia, aumentarono le difficoltà per le diocesi tedesche – e anche per quelle francesi, che nel frattempo si stavano muovendo autonomamente – di far fronte alle esigenze dei prigionieri, sempre più numerosi, e si iniziò a pensare all’invio di missionari da Paesi neutrali. Al centro di queste complesse trattative diplomatiche fu la Svizzera, come dimostrano le esperienze di due religiosi, allora poco più che quarantenni: padre Sigmund de Courten, vicepriore del monastero benedettino di Einsiedeln, e il pastore Théophile de Quervain, esponente di una famiglia storica cli ugonotti rifugiatisi in territorio elvetico quasi tre secoli prima. Entrambi furono inizialmente inviati in Francia, il primo per assistere i prigionieri cattolici, il secondo quelli di fede protestante. I due poi si separarono nell’autunno del 1916, quando de Ouervain fu inviato in Germania, ma continuarono a collaborare anche a distanza, operando sempre in piena sintonia. Intanto, nel corso del 1916 la Mission Catholique Suisse, guidata dal nuovo vescovo di Losanna e Ginevra Placide Colliard, divenne la struttura cattolica più importante nell’assistenza ai prigionieri: da una parte, grazie alla pubblicazione di un bollettino mensile, si cercò di facilitare la comunicazione tra le famiglie e i prigionieri; dall’altra, le missioni dei delegati furono estese anche all’Impero austro-ungarico e all’Italia, dove fu inviato il sacerdote ticinese Alfredo Noseda. Nel 1917, l’annuncio tedesco della guerra sottomarina illimitata e la controversia sul trattamento dei prigionieri militari e gli internati civili resero sempre più difficile la libera circolazione dei delegati, al punto che le visite nei campi furono interrotte tra l’autunno del 1917 e la primavera del 1918, fino cioè all’entrata in vigore degli accordi franco-tedeschi sui prigionieri di guerra sottoscritti a Berna. All’indomani dell’armistizio, la Mission continuò a impegnarsi nella ricerca dei dispersi, ma dal maggio del 1919 le sue attività furono completamente dismesse e naufragò anche il tentativo di trasformare l’organizzazione in una sorta di Croce Rossa religiosa permanente. Alla fine di quell’anno si concluse anche la missione di de Courten, che durante la seconda guerra mondiale tornò a farsi promotore presso il Consiglio federale elvetico di un nuovo intervento umanitario. La proposta, però, non fu accolta, segno che i tempi erano ormai cambiati, così come la funzione dei campi: ad esempio Mauthausen, che de Courten aveva visitato due volte tra il 1916 e il 1917, ricevendone già allora un’impressione molto negativa, era diventato uno dei lager più importanti nel sistema concentrazionario della Germania nazista.

di Giovanni Cerro

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