Quel pericoloso fascino della dittatura (La Provincia di Como)

del 2 Gennaio 2014

Da La Provincia di Como del 31 dicembre 2013

Molto attuale l’eredità di Juan José Linz, politologo che attraversò i totalitarismi del XX secolo

Dalla sua rilettura utilissimi spunti per affrontare la grande crisi della democrazia rappresentativa

 Con la scomparsa di Juan José Linz, avvenuta a New Haven negli Usa il primo ottobre, un altro protagonista del Novecento scientifico abbandona la scena.

 Uno dei maggiori politologi del Ventesimo secolo, Linz si era formato una chiara idea delle forme variabili dei regimi autoritari nel corso di una lunga vita di studi, che lo aveva portato dalla Germania di Weimar, e poi di Hitler, dove era nato alla fine de11926, alla Spagna di Franco, e da li, esule volontario, agli Usa della Guerra Fredda. Molto opportunamente l’editore Rubbettino manda alle stampe “Sistemi totalitari  e regimi autoritari. Un’analisi storico-comparativa”, a cura del  politologo Alessandro Campi (pagine 480, 24 euro).

Si tratta di un’antologia di scritti, a partire dal testo fondamentale del 1975 ove si distingue, nelle tipologie delle dittature, tra sistemi totalitari, sul modello teorico  di Hannah Arendt, ma non solo di costei, e sistemi autoritari e “sultanistici”. Per un uomo entrato in contatto con alcune delle peggiori dittature del Novecento,  la distinzione assume valenze particolari. In fondo, lo stesso fascismo italiano, che Linz conosce assai bene, e interpreta sulla linea “moderata” di De Felice ed Emilio Gentile, può dirsi senz’altro autoritario, ma forse non totalitario, dal momento che tante  componenti sociali operavano ancora all’interno dello Stato e al  di fuori di esso, a partire dalla Chiesa, mentre vi sono componenti di dissidenza proprio all’interno del regime stesso. Lo stesso non si può dire per la Germania di Hitler o la Russia di Stalin; ma si può forse dire per la Spagna di Franco, e il Cile di Pinochet.

L’opera di Linz presenta tuttavia altri motivi di interesse e di  fascino. A partire da domande inquietanti: perché mai tutte le opzioni politiche del primo Novecento, ma soprattutto quella democratica, ben incarnata dalla  democrazia (quasi) perfetta e (quasi) liberale della repubblica di Weimar, non attirano le masse,  come del resto non le attira il liberalismo, l’anarchia, o altre forme utopiche o realizzabili di governo?Perché daWeimar vien  fuori Hitler? Perché le masse scelgono il totalitarismo? Questioni cara a scienziati politici e  scrittori, come Elias Canetti, e questione tuttora spinosa, anche e proprio in momenti critici per la democrazia, e dunque di possibile, anche se non auspicabile, avvento di dittature, più o meno dichiarate. Anche la democrazia, infatti, può diventare una forma di dittatura, e di questo Linz appare ben consapevole, anche se il suo modello di democrazia liberale rimane, almeno dal suo punto di vista, quello di miglior governo possibile. Nei grovigli di un secolo  Per questo, la lettura di questo libro ci porta nei grovigli del Novecento, nei difficili viluppi sociali che hanno trasformato democrazie in dittature, e anche dittature in democrazie. Sono ricerche sociologiche, ma un gran ruolo vi giocala psicologia individuale come collettiva, la difficoltà di scelta per le masse soprattutto in momenti critici, dove la forza  dell’irrazionale, del disordine, conduce troppo spesso a ordini disumani, perfino a stermini. Un  viaggio dunque nel Novecento europeo, ma non solo europeo, da  parte di un transfuga insolito, uno spagnolo nato in Germania, perfettamente a proprio agio con il tedesco, ma cresciuto intellettualmente nel difficile, ma tendenzialmente libero, universo democratico americano. 

La lettura comparata che Linz dà del regime fascista, nazista, e comunista è utilissima nel momento in cui, troppo spesso, e a partire da letture affrettate di grandi interpreti  del Novecento come Nolte, si tende ad identificare le due dittature, a perdere le distinzioni fondamentali, soprattutto il rapporto con la tradizione, che si esplicita, ad esempio in Germania, con un numero altissimo di elementi di continuità tra il regime del II e quello del III Reich, superando troppo in fretta l’esperienza, breve ma significativa, di Weimar. Ma una grande domanda si alza spesso da queste pagine:  perché la democrazia è troppo debole, perché la soluzione delle innumerevoli situazioni di crisi  europee, e non solo europee, è stata spesso, troppo spesso, la dittatura?

Da qui la grande modernità dell’opera di Linz. Anche ora siamo indubbiamente davanti, in Italia e nell’Unione europea, ad una grande crisi della democrazia, ad una degenerazione potenzialmente devastante della democrazia rappresentativa, a fronte di una incapacità di pensare, o ripensare, una salvifica democrazia  diretta. Linz lo aveva intuito molto bene. La sua eredità di scritti deve essere dunque fortemente vagliata. Ripensata, e riletta.

Di Paolo Bernardini

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