Nannipieri e la battaglia liberista per la cultura (Il Tempo)

di Lidia Lombardi, del 7 Gennaio 2014

da Il Tempo del 4 gennaio

Luca Nannipieri è come un panzer tra la cristalleria. Non arretra nella marcia demolitoria in un settore delicatissimo, quello dei Beni Culturali. Saggista e giornalista ispirato come…

Luca Nannipieri è come un panzer tra la cristalleria. Non arretra nella marcia demolitoria in un settore delicatissimo, quello dei Beni Culturali. Saggista e giornalista ispirato come un Savonarola (un canto all’architettura collettiva è il libricino «La Cattedrale d’Europa», dedicato alla Sagrada Familia di Gaudì) da anni conduce una battaglia liberista nei temi riguardanti il Bel Paese. L’assunto (che lo ha visto, per esempio, opporsi al «conservatore» Salvatore Settis) è che monumenti e paesaggio sono di chi li fa vivere e vi si riconosce.

Ora Nannipieri propone tesi ancor più radicali in «Libertà di cultura». In sostanza, obietta che non c’è un’unica idea di cultura, che ciascun secolo, o addirittura generazione, ha una propensione. Ciò che intoccabile per gli antichi romani non lo è per gli epigoni dell’impero. E ciò che piace nel Medioevo non convince nel Rinascimento, e via dicendo. Prova ne è che i marmi classici furono smontati per costruirvi sopra altri edifici e poi recuperati con reverenziali scavi. Idem per la scienza. La ricerca astrofisica ha pari dignità – pur essendo estremamente costosa – di quella di un esperto di cucina, per esempio. Del resto la Costituzione, nell’articolo 9, afferma che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca» ma non specifica quali. E il concetto di sviluppo implica quello di cambiamento dell’esistente, se non addirittura di rivoluzione. Ne discende un relativismo per il quale non è detto che a ricevere sostegno statale debbano essere certe altolocate istituzioni (e qui la falce del polemista si abbatte su Accademia dei Lincei e Treccani). Allo stesso modo per cui fanno cultura non solo i baroni universitari ma sconosciute maestre. Il corollario è che non c’è niente di male se un giorno una comunità decide che un museo va chiuso, così come una volta furono sepolte le necropoli etrusche. Idem sul paesaggio: è arbitrario dare patente di sacralità a quello naturale. Anche quello urbano merita tutela, se per esempio ha espresso un edificio fondante come a Parigi la Tour Eiffel. La morale? Modificare nella Costituzione gli articoli 9 e 117 e il Codice dei Beni Culturali che ingessa il patrimonio. Via le sovrintendenze e il finanziamento pubblico garantito a musei, teatri, biblioteche. Ciascuno riceva piuttosto dallo Stato «una cifra che varia a seconda di quanto riesce triennalmente a reperire». Dura lex, sed lex.

di Lidia Lombardi

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