1942, la pace fallita fra Hitler e Stalin (Avvenire)

di Paolo Simoncelli, del 11 Aprile 2013

Da Avvenire del 11 aprile 2013

La pace impensabile fu dunque possibile? Terzo Reich e Urss staliniana, mentre si combattevano epicamente, mietendo milioni di vite umane, trattavano disinvoltamente per tornare alla situazione di alleanza del 1939.
Non è un romanzo di fantapolitica, ma un documentatissimo volume di Di Rienzo e Gin (Le Potenze dell’Asse e l’Unione Sovietica. 1939-1945, Rubbettino, pp. 514, euro 17) che hanno scavato con grande coraggio intellettuale nel compatto granito d’una storiografia che, protetta dallo spessore sacrale del politically correct, ha codificato versioni univoche. Emergono infatti dal volume verità indicibili che scardinano la vulgata tradizionale d’una guerra di sistema fascismo antifascismo e riporta tutti gli attori internazionali, grandi e piccoli, democratici e totalitari, all’interno d’una Realpolitik spietata, che non ha lasciato il minimo margine a considerazioni etico-morali. Tutto viene resettato di fronte alla documentazione reperita che va dai report del sistema Usa, “Magic”, che decritta le corrispondenze diplomatiche giapponesi attraverso cui è ricostruita la strategia segreta del Tripartito, ai documenti di guerra dei National Archives di Washington, ai verbali del War Cabinet britannico ecc., fino ai Diari di Luca Pietromarchi e Attilio Tamaro tutt’altro che marginali per la comprensione della politica italiana. Fonti che oggi svelano tanto “non detto” delle diplomazie, tante discordanze, fino a vedere dove non s’era ancora spinto lo sguardo. Una storia che ovviamente ha origine dal Patto russo-tedesco di non aggressione, firmato a Mosca il 23 agosto ’39 da Ribbentropp e Molotov, che determina le prime sorprese e rabbiose reazioni degli alleati occidentali, mentre l’Italia, in barba all’Asse, inizia un sistematico sabotaggio di quel Patto considerandolo rischioso per la propria “influenza” nei Balcani, e anche per non poterne comprendere culturalmente il sinistro sostrato ideologico che quel Patto sorreggeva: il nazionalbolscevismo, ossia la convergenza della gioventù rivoluzionaria del primo nazionalsocialismo e del bolscevismo contro il nemico comune: il sistema occidentale individualista-borghese, capitalista ecc.; insomma “il sangue contro l’oro”. Sirene cui Mussolini, da vecchio socialista rivoluzionario, dava intermittente ascolto, osteggiato da Ciano e dal re. Il duce fu sì spregiudicato ma non illogico nel vedere come al Patto di non aggressione avrebbe dovuto seguire l’alleanza con Stalin, non l’aggressione all’Urss. Un giudizio che avrebbe avuto modulazioni diverse ma costanti, man mano che giungevano le prime incerte notizie su ciò che i due Moloch politico-militari venivano architettando. E che ora trova esplicita conferma da più fonti: all’insaputa di ogni rispettivo alleato, dalla fine del ’42 erano in corso contatti di pace russo-tedeschi che vedevano Stalin pronto a firmare sul momento se gli si fosse garantito il ritorno alle frontiere del ’39. Contatti di pace, con analoga disponibilità staliniana, riproposti anche dopo la vittoria sovietica a Stalingrado, che si arenarono però sullo “scoglio” dell’Ucraina, dal cui possesso derivava, per gli uni o per gli altri, la più strategica delle esigenze: quella alimentare.
Contatti e discussioni che coinvolsero non solo Ribbentropp e Himmler, ma altri esponenti già della sinistra nazista come (ioebbels, e della Wehrmacht. Ira questi, il generale von Thoma, catturato a El Alamein, ricorderà agli inglesi la vicinanza ideologica di nazismo e comunismo, e quindi l’inanità del loro scontro; gli risultava evidente piuttosto la non coincidenza tra Berlino e Roma imputata di costruire linee difensive al Brennero preparandosi a uscire dalla guerra. Ma Mussolini apertamente e ripetutamente premeva su Hitler per giungere alla pace con Stalin (rinviata dal Fuehrer a dopo prossime e definitive vittorie militari che non verranno); uno Stalin che nell’evolvere del quadro internazionale prendeva platealmente le distanze dagli alleati occidentali (e l’attenzione di Di Rienzo e Gin ce ne offre esempi inequivoci: dal tono delle trasmissioni radiofoniche sovietiche alle risentite proteste di innocenza per l’eccidio di Katyn). Documenti e ricostruzioni che lasciano dubbi sulla strumentalità con cui Stalin utilizzava tutto per imporre agli Alleati l’apertura a Ovest del “secondo fronte”; senza contare che proprio questo suo atteggiamento avrebbe presto determinato iniziative uguali e contrarie da parte angloamericana. Nella primavera del ’43, il cambio di uomini al governo in Giappone e l’avvicendamento dell’ambasciatore a Roma, Horikiri con Hidaka, ci porta al centro dell’affaire e d’altri misteri.Va detto che Mussolini (e con lui la dirigenza giapponese) aveva letto la nuova situazione internazionale con lucidità; anche lui aveva interessi “nazionali” a spostare il peso militare tedesco dall’Est al Mediterraneo, ma ideologicamente ormai non tentennava più (Hidaka ne fu testimone): la pace con l’Urss avrebbe visto l’Italia imbandierata a festa. La grande storia delle strategie internazionali incrocia vicende e misteri di casa nostra. Hidaka è ricevuto da Mussolini poco prima di recarsi dal re, all’indomani del Gran Consiglio del fascismo del 25 luglio. L’intercettazione del conseguente rapporto di Hidaka a Tokio, vede il duce fidare non nelle armi segretedi Hitler (come ricordato da Grandi), ma appunto nella pace tedesco-sovietica che avrebbe a un dipresso portato alla vittoria dell’Asse. Mussolini a Salò e Hidaka poi in Giappone condivisero fra loro altri connessi segreti. Frattanto l’avanzata alleata in Italia rilanciava voci fondate di pace separata russo-tedesca che agghiacciavano il governo Badoglio nel periodo della “guerra continua”. Ma dopo lo sbarco in Normandia, all’avanzare impetuoso dell’Armata rossa nel cuore dell’Europa, quella pace separata cominciò a esser pensata dagli Alleati occidentali, e fra intrighi e rancori, si sarebbe affacciata ancora nei giorni della resa tedesca in Italia!

Di Paolo Simoncelli

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